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 2016  marzo 29 Martedì calendario

La battaglia delle trivelle: cose da sapere prima di andare a votare

Si è spaccato il Partito democratico, si è spaccata la Cgil e il mondo scientifico non sa bene da che parte stare: sul referendum del 17 aprile, quello per abrogare la norma dello Sblocca Italia che permette di prolungare – fino a esaurimento del giacimento – la durata delle concessioni di ricerca e coltivazione di idrocarburi entro le 12 miglia marine, c’è ancora poca chiarezza. I media hanno avviato le deboli campagne informative, i comitati hanno le loro iniziative e manca meno di un mese al voto. Ma come è nato il referendum? E come sono fatti i due schieramenti?
 
La genesi della battaglia
É luglio del 2015 quando il Coordinamento nazionale del movimento No Triv e l’Associazione A Sud Ecologia e Cooperazione propongono alle Regioni un referendum sulle trivellazioni in mare. La richiesta viene approvata dai Consigli regionali di Abruzzo (che si ritirerà poi in gennaio), Basilicata, Calabria, Campania, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Sardegna e Veneto. La Costituzione prevede che per chiedere un referendum abrogativo bastino cinque consigli regionali, in questo caso sono nove. I sei quesiti proposti riguardano soprattutto le norme dello Sblocca Italia che tolgono potere alle Regioni in materia energetica: dalla dichiarazione di strategicità delle trivelle (meno autorizzazioni e più libertà decisionale per il governo) a una nuova approvazione del “piano delle aree” e alla proroga delle concessioni già rilasciate nelle 12 miglia. La Cassazione però, a gennaio 2016 ne respinge cinque perché alcune modifiche introdotte con la legge di Stabilità (quindi dal governo) avevano soddisfatto le richieste dei comitati. Resta solo un quesito, quello per cancellare la proroga delle estrazioni. Sarà dichiarato ammissibile dalla Corte costituzionale: il referendum fissato per il 17 aprile.
Nonostante le richieste dei comitati e degli ambientalisti, il governo non ha però voluto concedere un election day, una votazione contemporanea alle elezioni amministrative di giugno, con il quale si sarebbero potuti risparmiare circa 300 milioni di euro. Intanto, l’opinione pubblica ha iniziato a dividersi.
Il fronte Pro trivelle che tifa astensione 
Lo hanno chiamato Ottimisti e Razionali ed è il fronte del No. O meglio, è il fronte dell’astensione visto che invita gli italiani a non andare a votare al referendum perché sarebbe una consultazione “ingannevole e dannosa”. Una linea nata nelle stanza dell’agenzia di lobbying Reti, dell’onnipresente Claudio Velardi, in un incontro del 29 febbraio in via degli Scialoja, a Roma. Strategie, comunicazione, la scelta del nome: l’invito era esteso a tutti i responsabili della comunicazione e tutti i lobbisti di diverse società italiane, nonché giornalisti e accademici. Eppure, finora il principale esponente di questa posizione è stato il Pd che, premier in testa, ha definito il referendum una consultazione “senza senso”.
A capo del comitato Ottimisti e Razionali è stato messo Gianfranco Borghini, ministro dell’Industria nel governo ombra di Occhetto, nuclearista convinto, ex membro del Pci, fratello gemello di Giampiero (ex sindaco di Milano). Nel 1996, sotto il governo Prodi, Borghini viene messo ai vertici della Gepi, la società pubblica per le gestioni e partecipazioni industriali, poi Itainvest e infine Sviluppo Italia. Come raccontato da Fiorina Capozzi sul fattoquotidiano.it, alcune interrogazioni parlamentari del tempo misero in luce una gestione non proprio oculata e diversi miliardi di lire di rosso.
Altro volto dell’area “astinenza” è quello di Gianni Bessi, consigliere regionale del Pd in Emilia Romagna, da dipendente di Hera Spa – multiutility bolognese nei servizi ambientali, idrici ed energetici – la sua ascesa politica ha visto, in circa cinque anni, il passaggio dai consigli comunali a quelli regionali con una tappa alla vicepresidenza della Provincia di Ravenna.
Molto attivo su tutto quello che riguarda l’energia, è stato lui a far circolare, nei giorni scorsi, la lista di tutte le bufale che starebbero diffondendo movimenti e comitati No Triv. Ma è stato sempre lui a pubblicizzare, un paio di settimane fa, una manifestazione che avrebbe presentato Ravenna (la sua città) come il punto di riferimento per l’energia rinnovabile nel rispetto degli obiettivi europei nell’emissione di anidride carbonica.
 
Tutto ruota intorno all’Eni
Il sito più attento al comitato Ottimisti e Razionali è la testata online formiche.net. Nel cda di Formiche c’èChicco Testa(presidente di Assoelettrica, l’associazione di categoria dei produttori di energia). È il sito che racconta, dalla sua nascita, l’attività del comitato, raccoglie interviste a ogni suo membro, ospita editoriali di giornalisti provenienti da testate che hanno mostrato finora posizioni affini: dal Foglio a Panorama.
Proprio Formiche ha diffuso i nomi di chi fa parte del comitato: Alessandro Beulcke, presidente di Aris, l’organizzazione che gestisce il Nimby Forum e il Festival dell’Energia; Rosa Filippini direzione nazionale Amici della Terra (associazione espulsa dal gruppo internazionale Friends of the Earth); Corrado Ocone, filosofo, scrittore e responsabile attività web ed editoriali per l’Università Luiss; Ernesto Auci ex Fiat e Confindustria, fondatore del sito Firstonline; Piercamillo Falasca, direttore editoriale di Strade, l’editorialista Stefano Cingolani firma del Foglio e il giornalista di Panorama Carlo Puca. E i social network? Ottimisti e razionali ha una pagina Facebook che raccoglie circa 1870 follower.
Le motivazioni dei comitati del No – ma è più preciso parlare di comitati per l’astensione – riguardano soprattutto i posti di lavoro che andrebbero persi se la norma fosse abrogata. Un timore condiviso anche dai sindacati Filctem Cgil, Femca Cisl e Uiltec Uil. Parliamo di lavoro legato alle concessioni di coltivazione di idrocarburi: escludendone un paio di Edison (otto piattaforme e nove pozzi), la quasi totalità entro le 12 miglia è riconducibile all’Eni. I permessi di ricerca, invece, coinvolgono anche Shell Italia (che ha rinunciato a ricercare nel Golfo di Taranto) Po Valley e Appennine Energy(casa madre è la SoundOil Plc, quotata sul mercato AIM di Londra). Altri sono stati sospesi.
Secondo i dati del ministero dello Sviluppo economico, le concessioni di coltivazione in quel limite sono 35, di cui tre inattive, una in sospeso fino alla fine del 2016 (Ombrina Mare, al largo delle coste abruzzesi) e cinque non produttive nel 2015. Alle altre 26 concessioni sono riconducibili 79 piattaforme e 463 pozzi distribuiti tra mar Adriatico, mar Ionio e Canale di Sicilia. Di queste, 9 concessioni, per 38 piattaforme, sono scadute o in scadenza ma con proroga già richiesta. Le altre 17 (per 41 piattaforme) scadranno tra il 2017 e il 2027. Quasi tutte fanno capo ad Adriatica IdrocarburiIonica GasMediterranea Idrocarburi: società di Eni. “Producono il 27 per cento del totale del gas e il 9 per cento di greggio estratti in Italia – scrive Legambiente – e il petrolio proviene da quattro concessioni dislocate tra Adriatico centrale – di fronte a Marche e Abruzzo – e nel Canale di Sicilia”. Secondo il comitato del No, il contributo versato allo Stato dall’industria del petrolio è di 800 milioni di tasse, cui si aggiungono altri 400 milioni tra royalties e concessioni.
 
Il fronte del Sì, contro le trivelle
L’Altra Europa con Tsipras, Confederazione Cobas, Associazione A Sud Ecologia e Cooperazione, Associazione MarevivoLegambienteFareAmbiente – Movimento ecologista europeo, Lega Nord,Italia dei ValoriGreenpeace Onlus, Associazione “Prima le Persone”, Confederazione Italiana Agricoltori, Associazione Rete della Conoscenza, Gruppo Movimento 5 Stelle Camera dei Deputati, Associazione “Possibile”, Sel, Associazione “TILT! Onlus”, Federazione dei Verdi: è l’elenco dei soggetti politici favorevoli iscritti finora sul registro dell’Agcom, l’autorithy delle comunicazioni, per il referendum sulle trivelle. Il fronte del Sì nasce con la stesura dei sei quesiti referendari (cinque dei quali sono stati neutralizzati dal governo con alcuni provvedimenti introdotti nell’ultima legge di Stabilità) da parte del costituzionalista Enzo Di Salvatore e si allarga nel corso degli anni attraverso il lavoro del coordinamentoNo Triv.
I comitati contro le trivelle sono sparsi in tutta la penisola e sulle isole. La pagina Facebook del coordinamento nazionale ha oltre 25mila seguaci, sono decine quelle delle realtà locali. I comitati territoriali non nascono per difendersi dalle trivellazioni in mare: in Basilicata molti lottano per bloccare lo sfruttamento degli idrocarburi anche in terraferma. L’orizzonte di azione dei No Triv non si limita a questo referendum: “Vogliamo diffondere il pensiero post-estrattivista, favorendo la spinta alla transizione energetica ed alla riconversione delle attività produttive – è il loro manifesto -, aspirando a un nuovo modello di sviluppo economico eco-compatibile, equo, ed equilibrato che, attraverso la riduzione dell’impatto ambientale delle produzioni e degli stili di vita, tenda al principio di sostenibilità arrestando il catastrofico processo di riscaldamento globale in corso ed il conseguente cambiamento climatico planetario”. È la ricerca di un nuovo modello sociale fondato sull’impiego di fonti energetiche rinnovabili pulite, sulla cooperazione solidale, sulla democrazia diretta e partecipata. Il 17 aprile è solo l’inizio. Il piano a lungo termine è liberare il mare italiano dalla ricerca di idrocarburi.
Una grande spinta alla campagna viene da associazioni ambientaliste come WwfLegambiente eGreenpeace. I rapporti, gli studi e la raccolta di dati ne costituiscono la più amplia base scientifica. È di Greenpeace l’analisi delle cozze che crescono attorno alle piattaforme, realizzata con dati ministeriali, che ha riscontrato livelli di sostanze nocive al di sopra dei limiti consentiti.
La settimana scorsa, anche Legambiente ha evidenziato i problemi per l’ambiente e la salute provocati da piattaforme e pozzi, nonché i rischi sul lungo termine (il focus nel basso di questa pagina).
E i posti di lavoro? Per i No Triv il problema non è così grave come viene presentato. Le attività estrattive delle concessioni già rilasciate proseguirebbero fino alla scadenza del permesso o della concessione: la durata media residua è di 6 anni, con punte di 11. “L’alternativa è sfruttare il tempo rimasto per progettare una riconversione in senso ecologico del settore, per ripensare la Strategia Energetica Nazionale e ridisegnare il futuro energetico del Paese, puntando su ricerca e innovazione tecnologica, sullo stoccaggio di energia, reti e città intelligenti, su efficienza energetica e fonti rinnovabili – spiega Roberta Radich, coordinatrice No Triv in Veneto – quelle stesse a cui i vari governi hanno imposto, dal 2013 a oggi, il taglio di 60 mila posti di lavoro”. Il riferimento è alla crisi del settore e alla strategia di alcune aziende che cercano di ridurre la raffinazione, trivelle o meno.