29 marzo 2016
In morte di Rita Sala, giornalista e molto di più
Riccardo Muti per Il Messaggero
La notizia della morte di Rita mi è giunta all’improvviso e assolutamente inaspettata. Non ci sentivamo da più di un mese, anche se non avevamo mai perso la consuetudine di parlarci. La nostra amicizia risale a tanti anni fa, non ricordo neanche quanti. Da quando ero direttore musicale alla Scala e Rita mi fece una prima intervista. Lì è nata la nostra amicizia, rimasta ininterrotta per tre decenni, e rafforzata sempre più da una stima profonda.
Infatti, ho sempre ritenuto che Rita fosse una bravissima giornalista, ma non solo. Giornalista è una parola restrittiva nel suo caso. Era una scrittrice e soprattutto una donna di profonda cultura, con cui ho avuto innumerevoli conversazioni su argomenti che le stavano molto a cuore. Parlavamo spesso di quell’universo meraviglioso che è la cultura classica greca, che Rita conosceva, ammirava ed evocava con citazioni in purissimo greco, lingua che parlava perfettamente.
Credo di poter dire inoltre che il suo sia stato un giornalismo “perbene”, per dirla in modo semplice. Ovviamente ognuno di noi ha le sue opinioni riguardo agli spettacoli che vede e a ciò che esprimono, ma è importante essere onesti nelle proprie opinioni. E lei lo era. I suoi scritti erano dettati anche dalla sua passionalità, dall’irruenza che aveva dentro, a volte da una decisa intransigenza su certi temi. Poco importava, potevi essere d’accordo o meno, ma c’era sempre una profonda verità in ciò che scriveva Rita.
Ricordo anche il suo grande amore per la Spagna. Lo scoprii quando ci seguì nel tour con l’Orchestra Giovanile Cherubini. Aveva nell’anima e negli occhi questo viscerale amore per una terra che le apparteneva – la mamma credo fosse spagnola – e questa passione si estendeva anche alle manifestazioni più spettacolari dell’anima iberica, la Semana Santa, il flamenco, la corrida.
Adesso voglio sottolineare quel che mi ha colpito di più: era così estroversa nel suo modo di comunicare, eppure della terribile malattia che l’aveva colpita non ha mai fatto trapelare nulla. Parlandole capivo che andava e veniva dall’ospedale, ma non mi ha mai rivelato la vera ragione, né potevo chiederle il motivo, soprattutto a una signora, ma anche per rispetto a quel suo silenzio. Quindi Rita se n’è andata con pudore. Lei, che nella vita è stata sempre così trascinante, nella morte è stata sola e non ha comunicato, se non con pochissime persone molto vicine, il suo dramma e la sua fine di cui sicuramente era consapevole.
Una grande perdita per il giornalismo e per gli amici, a cui mancherà come mancherà a tutti i lettori.
Marco Molendini per il Messaggero
Arrivò con i suoi capelli neri e un tailleurino castigatissimo a quadrettini bianchi e neri, fresca di laurea, scelta dal critico teatrale di allora, Renzo Tian. Non se ne è più andata. I suoi tacchi hanno rimbombato nei corridoi del Messaggero per 33 anni. Era così Rita: marciava, travolgeva, dilagava, seduceva. E scriveva. Di tutto. Si occupava di teatro, ma il teatro per lei, appunto, era la vita: musica, calcio, letteratura. Era un fiume perennemente in piena. Diventammo amici, più che colleghi. Era facile scherzarci, a volte prenderla in giro con la complicità di un altro marziano come Paolo Zaccagnini, aspettare che se la prendesse (si, era permalosa) pronta a girare le spalle per poi tornare più sorridente di prima. Era buffa Rita. Una donna antica, simpatica, colta come raramente accade nelle redazioni, disponibile fino al masochismo, affettuosa, camaleontica, libera, indifesa, misteriosa. Conquistava e spariva.
Come quando, dopo anni di gavetta, venne assunta. Qualche settimana e scomparve. Sconforto al giornale, dove aveva già conquistato tutti. L’unico indizio era che doveva andare in Spagna. Allertammo la Guardia Civil e la gendarmeria spagnola la scovò a Siviglia, durante le celebrazioni della Semana Santa: mimetizzata fra le donne andaluse, perfettamente padrona della lingua spagnola. Si era innamorata di un chitarrista di flamenco ed era pronta a gettare tutto alle ortiche. Per fortuna si convinse a tornare. Portò con sé il chitarrista.
La vita è teatro. E quella di Rita è sempre stata teatrale. Era teatrale nel modo di scrivere, nei rapporti, nei sentimenti, nelle improvvise mutazioni. Quando tornò dalla Spagna, non aveva più i tailleurini a quadretti, era una donna flamenca, gonne larghe, colorate, gli occhi segnati da un trucco nerissimo, attorno al suo sguardo curioso, onnivoro. Uno sguardo che conquistava.
Rita era una donna senza mezze misure. Dava tutto, negli affetti come nel lavoro, con il quale aveva un rapporto sentimentale. Era seduttiva nel modo di scrivere e nelle frequentazioni di lavoro, anche importanti. Nel mondo del teatro, con Carmelo Bene, Maurizio Scaparro, Gigi Proietti, in quello della musica con Pavarotti, Renato Bruson, Placido Domingo, un direttore d’orchestra, allora giovanissimo, Paolo Carignani (con cui visse vari anni), Riccardo Muti, in quello della letteratura con Luis Sepulveda, in quello dello sport (la Roma). Ma Rita trattava tutti con la stessa passione con cui aveva firmato importanti scoop non solo di teatro. Dalle interviste ai maestri della letteratura latino americana, come Sepulveda o Marquez, a premi Nobel come Dario Fo o ai grandi campioni dello sport, fino a farsi interprete anche della crisi economica greca attraverso gli intellettuali ellenici. Operaia e principessa del giornalismo.
PS. Scusa Rita se non mi sono soffermato sulla retorica della perdita, dicendo che eri la migliore di tutti. So che mi avresti sorriso, in segno di approvazione.
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Virman Cusenza per Il Messaggero
Sapeva tradurre la musica in parole e le parole in una musica per gli occhi del lettore. Rita Sala era un esemplare unico di giornalista colta e versatile che riusciva a passare dai versi di Pindaro nelle pagine culturali agli stornelli romani nella rubrica degli spettacoli.
Questo saper toccare tutte le corde, dalla più alta alla popolare, l’ha fatta amare dai suoi interlocutori più diversi. Lei amava soprattutto artisti e intellettuali carismatici. A loro si votava, divenendone l’interprete più acuta e fedele, come una vestale. E di una maschera del teatro greco, con il suo sguardo assoluto e il piacere per la battuta salace, Rita sapeva e voleva essere l’incarnazione. Lo sanno grandi mattatori delle scene come Albertazzi, Fo e Proietti, che Rita ha saputo raccontare come merita il loro talento ma che alla Sala sono debitori di una prosa che lei ha prestato loro trasformandoli spesso in brillanti articoli per il Messaggero. E che dire di Riccardo Muti, un direttore amato da tutti ma che Rita venerava da ben prima che il maestro napoletano diventasse una star? Ecco, Rita sapeva intrecciare con questi mattatori, attori, musicisti o scrittori che fossero, un rapporto speciale. Alla pari, anzi un dialogo in cui spesso gli intervistati o recensiti finivano con l’essere debitori di qualche prestito culturale. L’umiltà e la generosità di Rita era senza eguali. Ha saputo prestare la sua penna anche a calciatori famosi che solo grazie alla sua prosa sono diventati figure mitiche, come gli atleti del suo amato Pindaro. Rita conosceva il greco antico e moderno alla perfezione, lo spagnolo come l’italiano, alla pari del francese e dell’inglese. Perché la sua era la lingua di una grande anima che ha saputo schiudere i misteri nascosti nella magia del teatro, come nelle note del pentagramma o nelle righe di un verso. Questo dono prezioso perciò merita di essere ricordato con un’iniziativa che leghi per sempre il suo nome al mestiere più bello del mondo. Ciao Rita.
Rodolfo Di Giammarco per la Repubblica
Rita Sala, esperta critica del teatro, della lirica e della cultura del Messaggero è scomparsa l’altra notte, e d’improvviso, con emozione, con sconcerto, ci accorgiamo che non ci ha lasciato solo lei, solo una persona. Se n’è andata una collega vulcanica, volitiva, imprendibile, competentissima, non presenzialista, amante di interventi anche fuori dalle mode.
S’è volatilizzata una compagna di lavoro di un’altra testata che a volte ballava più che camminare, che aveva un sorriso spagnolo più che italiano, che conservava un’eleganza fuori dai canoni più che un piglio da giornalista, che era stupendamente visionaria più che professionalmente razionale.
È morta una costante reporter del bello, dell’emozione, della gioia, dell’etica, dell’estetica, dell’estasi, dello slancio, dell’infatuazione per l’armonia, della festa per i ritmi, dell’innamoramento per gli artisti grandi. Non c’è più una giornalista che vivacemente correva da una materia all’altra, da uno spettacolo a un’opera, da un ritratto a un libro, da una curiosità record a una sfumatura insondabile, da un linguaggio colto a uno scrivere appassionatamente per tutti. Non incontreremo più la Rita che era pronta a sorrisi ammalianti, a malinconie imperscrutabili, a entusiasmi stratosferici, a silenzi dolcissimi. Non avremo più la fortuna di ascoltare una donna che lottava, biasimava, demoliva, esagerava ma sinceramente stava comunque male per i malesseri del mondo dell’arte. Non ne avvisteremo più la sagoma inconfondibile, non ne gusteremo più le occhiate fulminanti, non ne leggeremo più la solarità o le ombre.