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 2016  marzo 29 Martedì calendario

Che tristezza, Bridget Jones! L’eroina sovrappeso di Helen Fielding torna al cinema, ma ha smesso di rappresentare le sue fan

Smettere di fumare, ridurre la circonferenza cosce di 7,62 centimetri, non innamorarsi di impegno-fobici, impegnati e megalomani. Erano alcuni dei propositi del Diario di Bridget Jones (1996), ed eravamo tutte noi. I primi due romanzi più di 15 milioni di copie vendute, il primo film 282 milioni di dollari. Proprio così, noi single, mentre prendevamo coscienza di noi stesse: imbranate, ma felici di esistere. Negli anni Novanta, quando ancora tutto era possibile. Prima dell’11 Settembre, della grande recessione, la nostra età dell’innocenza. Attraverso Bridget, prima eroina comica moderna, Helen Fielding aveva intercettato una generazione.
Ora però a settembre arriva il terzo film, e nei trailer Bridget, a 43 anni, è ancora lì. Gli stessi pantaloni del pigiama, ad ascoltare All By Myself e divorare un cupcake. Più magra, meglio vestita, più realizzata nel lavoro, ma sempre a disperarsi perché non trova un uomo. Perfino l’appartamento è sempre quello, anche se ha cambiato il divano. Che pasticcio, Bridget Jones! Non ci rappresenti più. È congelata, come la faccia di Renée Zellweger, ha ironizzato il Guardian. Una Bridget del suo tempo dovrebbe destreggiarsi tra Tinder e OkCupid, photoshopparsi con PicMonkey e Make Me Thin in un mercato di maschi agevolati dal sesso ultra-accessibile. Perfino la regola della mutanda è saltata, ché oggi la guainetta Spanx la indossano anche gli uomini. Come il manscara, i collant, il guyliner. Altro che facoltosi americani come Patrick Dempsey, che Bridget rimorchia dopo la rottura con Mark. L’amore contemporaneo è solitudine, la cena a lume di display: è lui che al massimo propone una serata Netflix. Bridget resta incinta e non sapendo chi sia il padre inscena due volte l’ecografia per i due uomini, entusiasti. Ma oggi è tanta la difficoltà di trovare un partner che le donne i figli li fanno da sole, magari congelando gli ovuli.
Non è Fielding che ha tradito. Lei il terzo capitolo, uscito nel 2013, l’aveva scritto ben diversamente. In Un amore di ragazzo, Bridget, 51 anni e vedova da quattro, se la vedeva con le difficoltà di crescere da sola due bambini, che appena ti distrai ti vanno a fuoco gli spaghetti. Era una Bridget modernissima. Il vero amore non è più garantito, diceva Fielding, neanche nelle romantic comedy, ma le 50enni non sono più disposte a far da tappezzeria. Così la disgraziata sbarcava su Twitter, s’infatuava di un maschio più giovane, cedeva al Botox e finiva malissimo («Ancora in grado di pronunciare le o, non così le pi, le bi e le effe»).
Anche noi siamo cambiate. Siamo diventate adulte. Diverse anche da Carrie Bradshaw, che pure lei l’unica cosa che faceva era cercare un fidanzato. Oggi le donne sono quelle di Rebecca Traister nel saggio All the Single Ladies: non più definite – economicamente, socialmente e sessualmente – dagli uomini che sposano. Come l’artista Tracy Emin, che per provocazione ha sposato un sasso. Una roccia, simbolo di quanto è più affidabile (gli amici, il lavoro) se gli uomini non lo sono più. Per tener segreta l’identità del padre, la produzione di Bridget Jones’s Baby ha girato tre diversi finali. Chissà se uno di questi ha preso in considerazione che Bridget mollasse tutti e due. Perché c’è molto di più, nella vita da single, che morire divorata da cani alsaziani.