Corriere della Sera, 29 marzo 2016
Si sta aprendo una finestra per ridurre il debito pubblico: un’occasione da non perdere
Succede alle montagne, quando gli strati geologici slittano sotto la superficie senza che l’impatto sia visibile subito. Anche nel debito pubblico dell’Italia certi cambiamenti rischiano di passare inosservati mentre in Europa se ne discute accanitamente. A Bruxelles resta sotto sorveglianza la sua enorme taglia rispetto all’economia del Paese, in Germania preoccupa l’esposizione delle banche su di esso, in Italia la politica parla d’altro come se quella montagna non ci fosse.
Nel frattempo pochi notano un dettaglio sempre più determinante: stanno cambiando i proprietari. Fra i detentori di titoli di Stato italiani si sta imponendo un soggetto la cui presenza è destinata ad aprire la finestra di un’opportunità di quelle che si presentano poche volte in un secolo. Se l’Italia ci salterà dentro, potrà uscirne avendo radicalmente diluito il veleno del debito che la intossica da tre decenni. In caso contrario le antiche vulnerabilità sono destinate a riemergere tra pochi anni, specie quelle che oggi crescono inosservate sotto la superficie. In vista del Documento di economia e finanza che il governo deve varare a metà a aprile, è questo l’aspetto forse più rilevante eppure meno discusso.
Il soggetto che sta emergendo non è nuovo: si trova a meno di tre chilometri dal dipartimento del Tesoro. Da oltre un anno la Banca d’Italia compra sul mercato, in media, circa otto miliardi al mese di titoli di Stato del proprio Paese in esecuzione di un mandato della Banca centrale europea. Il quantitative easing, il programma di acquisti di titoli varato dalla Bce nel 2015, funziona esattamente così: le decisioni sono prese a maggioranza dal Consiglio direttivo di Francoforte ma le operazioni sui titoli di Stato vengono delegate alle banche centrali nazionali, in modo che il rischio resti tutto confinato nei bilanci di queste ultime. I titoli del Tesoro italiano sono comprati solo dalla Banca d’Italia, e solo ad essa spettano tanto i rischi di perdite che i relativi rendimenti.
Con le ultime decisioni della Bce qualcosa cambia: da aprile il ritmo degli acquisti accelera da 60 a 80 miliardi al mese per l’area euro e per l’Italia salirà a circa 9 miliardi al mese in titoli sovrani. Entra così pienamente in azione una forza che rende la finanza pubblica meno difficile da gestire, perché la Banca d’Italia alla fine del 2017 finirà per detenere debito pubblico del Paese per (almeno) 215 miliardi di euro. È molto più di quanto investono in debito pubblico le famiglie italiane, più di quanto detengano le compagnie assicurative.
Questa progressione è iscritta nel quantitative easing. L’anno scorso la Banca d’Italia ha comprato titoli del Tesoro per circa 96 miliardi di euro, nel 2016 e almeno fino a marzo del 2017 accelererà al ritmo di 108 miliardi l’anno. Inoltre, la Bce si è impegnata a far reinvestire in nuovi titoli sia quelli che scadono che i relativi proventi d interessi versati dai governi: per la Banca d’Italia ciò equivale ad acquisti di titoli del Tesoro per altri sette miliardi.
Tutto ciò significa che il governo finirà presto per pagare ogni anno alla Banca d’Italia gli interessi su un decimo del proprio debito, circa 7 miliardi l’anno almeno fino a fine decennio; a sua volta poi la Banca d’Italia restituirà gran parte di quei fondi proprio al Tesoro sotto forma di profitti di esercizio e di tasse sulle plusvalenze. Già solo nel 2015 questi versamenti sono stati di oltre sei miliardi. È come se il debito fosse diventato di colpo più piccolo. Qualcosa di simile accade in tutti gli altri Paesi dell’euro (Germania inclusa) e ancora di più in Giappone, Gran Bretagna e Stati Uniti: come nota un rapporto di Goldman Sachs, la banca centrale di Tokyo detiene ormai quasi la metà del debito pubblico nazionale, quella di Londra il 25%, la Federal Reserve circa il 20% e presto anche la Bundesbank sarà a un livello simile.
Niente di tutto questo risolve il problema del debito ma il governo italiano oggi ha l’ultima occasione per ridurre la spesa e le tasse, e ridistribuire queste ultime in modo da rendere l’intero sistema più efficiente prima che la magia della Bce svanisca. Se sprecasse l’occasione distribuendo risorse a pioggia e dimenticando la spesa, il contraccolpo arriverebbe con l’esaurirsi del quantitative easing. Le faglie oggi in movimento aprirebbero nuove voragini nell’economia. Già oggi gli italiani vedono assorbiti in interessi sul debito pubblico ben nove euro ogni cento pagati in tasse, più che in Grecia. E gli investitori esteri ormai si tengono sempre più a distanza: ormai detengono solo il 39% dello stock dei titoli del Tesoro, uno dei livelli in assoluto più bassi d’Europa.
La Bce e la Banca d’Italia oggi aprono una finestra. Solo l’Italia può approfittarne, oppure no.