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 2016  marzo 29 Martedì calendario

Sdegno del Papa per i cristiani uccisi a Pasqua in Pakistan • Liberato il giornalista freelance: non è lui l’uomo col cappello • Le rotte della jihad passano per l’Italia • Caso Regeni, l’Egitto promette tutte le carte • Il pr romano che faceva sesso coi ragazzini e poi li ricattava coi video

 

Pakistan Dopo l’attentato kamikaze nel parco di Gulshan-e-Iqbal a Lahore, Pakistan, Papa Francesco ha lanciato un appello da San Pietro nel corso della cerimonia del Regina Coeli. «Ieri, nel Pakistan centrale, la Santa Pasqua è stata insanguinata da un esecrabile attentato, che ha fatto strage di tante persone innocenti, per la maggior parte famiglie della minoranza cristiana — specialmente donne e bambini — raccolte in un parco pubblico per trascorrere nella gioia la festività pasquale». Ha rivolto un appello «alle Autorità civili e a tutte le componenti sociali di quella Nazione, perché compiano ogni sforzo per ridare sicurezza e serenità alla popolazione e, in particolare, alle minoranze religiose più vulnerabili». Poi, in serata, è emerso un bilancio secondo cui la maggioranza dei 71 morti e 250 feriti potrebbero essere musulmani. La rivendicazione è di una fazione dei talebani pachistani. Il Pakistan ha dichiarato tre giorni di lutto, il premier Nawaz Sharif ha cancellato una visita ufficiale in Gran Bretagna, ha inviato fiori e lettere ai feriti. L’esercito ha lanciato blitz ia Lahore e in altre due città del Punjab, arrestando 50 sospetti e sequestrando armi e munizioni; il kamikaze è stato identificato come Muhammad Yousaf Farid, reclutatore ventottenne del sud della regione (Mazza, Cds).

Bruxelles Alle 15.30 di ieri pomeriggio la Procura federale belga ha emesso un comunicato per certificare che Fayçal Cheffou, personaggio noto alle forze dell’ordine per crimini comuni e un percorso di radicalizzazione più volte segnalato alle autorità, torna a essere un uomo libero dopo tre giorni passati in carcere con l’accusa di omicidio, tentato omicidio e strage. Non è lui l’uomo col cappello ricercato in tutta Europa, la persona che trasportando un carrello accompagnava i due terroristi suicidi nella sala partenze dell’aereoporto di Zaventem. Giovedì sera era stato fermato mentre sostava in auto proprio davanti alla procura. Venerdì il portavoce della polizia affermava che c’erano «forti probabilità» che l’uomo con il cappello fosse lui, che si presenta come un giornalista freelance. Sabato la probabilità diventava «certezza», la cellula di Bruxelles era ormai «neutralizzata». Il tassista che aveva portato gli altri attentatori all’aeroporto lo aveva riconosciuto in un confronto all’americana, un altro video fatto dalla telecamera esterna di un negozio nei pressi della fermata della metro di Maalbeek lo mostrava mentre si scambiava uno zaino con una persona che «verosimilmente» somigliava a Khalid El Bakraoui, che da lì a poco si sarebbe fatto esplodere facendo altre 24 vittime. L’unica postilla era che mancava ancora il timbro ufficiale della procura, solo una formalità, motivata con le festività incombenti. Invece mancava anche qualcos’altro. «Non sono stati raccolti elementi sufficienti a convalidare il fermo» scrivono i magistrati. La formalità mancante doveva essere l’esame del Dna. Ma nell’appartamento di Schaarbeek non sono state trovate tracce di Cheffou, e neppure, pare, sui resti del borsone contenente esplosivo che l’uomo con il cappello trasportava. Resta indagato, ma non è lui l’uomo con il cappello. Cheffou era diventato amico di un impiegato dell’aeroporto di Zaventem. Nel suo entourage figurava un conoscente stretto che poco prima degli attacchi di Bruxelles aveva inviato un sms alla compagna dove si congedava da lei sostenendo che andava a farsi esplodere. E soprattutto, l’ambiente da lui frequentato negli ultimi tre anni è lo stesso di Salah Abdeslam. L’ultimo dettaglio che rendeva plausibile la sua colpevolezza era il fatto che il suo «ultimo domicilio conosciuto» fosse nei pressi della stazione di Maalbeek. «In assenza del Dna — ha detto l’avvocato Olivier Martins — un nuovo video ha seminato dubbi nel tassista. Un problema di stazza. Il mio cliente è magro, quell’altro no. Tutto molto semplice» (M. Ima., Cds).

Italia Nell’estate di un anno fa i terroristi di Molenbeek si sono riuniti in Grecia. Almeno tre di loro sono passati dall’Italia, ritenendola paese “sicuro”. Salah Abdeslam e il suo amico Ahmet Dahmani hanno preso la via del mare: arrivati in macchina a Bari dal Belgio, sono andati a Patrasso su un traghetto. Khalid El Bakraoui, l’uomo che si è fatto esplodere alla fermata di Maelbeek, ha scelto l’aereo. Ha fatto scalo a Treviso, una notte in albergo a Venezia, poi il volo per Atene. Come un turista qualunque, nonostante fosse in libertà condizionata e avesse un fratello appena arrestato in Turchia perché ritenuto un foreign fighter. Il biglietto del traghetto Bari-Patrasso, intestato a Salah Abdeslam e Ahmet Dahmani (catturato in Turchia dopo la strage di Parigi), è datato primo agosto 2015. Il ritorno, 5 agosto. I due rimangono nel nostro Paese un paio di giorni, ma secondo l’Antiterrorismo è solo un passaggio. «Avevano i documenti veri – spiega una fonte qualificata – e non erano in alcuna lista sensibile. Non risulta che abbiano avuto contatti particolari in Italia ». Il viaggio di Khalid El Bakraoui, altrettanto poco significativo per i nostri investigatori, comincia il 23 luglio 2015. Alle 8.25 atterra all’aeroporto di Treviso con un volo Ryanair da Bruxelles. Il biglietto lo acquista con la carta di credito intestata a tale Abderahman Benamor. Al momento del check-in a Bruxelles El Bakraoui si registra con la sua carta di identità di cittadino belga. La notte tra il 23 e il 24 pernotta all’hotel Courtyard Marriott dell’aeroporto di Venezia. «Un cliente come gli altri, niente di particolare», dicono alla reception del Marriot. Il giorno dopo è sul volo delle 6 Venezia-Atene, della compagnia Volotea. Poi le tracce si perdono. Ma Khalid El Bakraoui, l’estate scorsa, non era più un uomo qualunque. Per quanto non comparisse nelle liste delle intelligence europee, era stato condannato a 5 anni di carcere in Belgio per reati comuni nel 2012, ed era fuori con la condizionale. Non solo. Un mese prima di prendere l’aereo per Atene, suo fratello Ibrahim era stato arrestato dalla polizia turca che lo aveva rispedito in Olanda ritenendolo un foreign fighter. Anche se le autorità belghe lo faranno rilasciare dopo pochi giorni “per assenza di prove” (Tonacci, Rep).

Regeni Il procuratore generale della Repubblica Araba di Egitto, Nabil Sadeq, ha promesso che il 5 aprile, durante l’incontro che terrà a Roma tra la polizia del Cairo e gli investigatori italiani, sarà consegnata tutta la documentazione richiesta invano dall’inizio dell’inchiesta. Incluse le prove relative all’ultima pista: quella della banda di sequestratori che amavano indossare uniformi di apparati della sicurezza egiziana che da noi non ha convinto nessuno. Lo stesso Pignatone, ieri, pur dichiarando «apprezzamento per l’impegno», ha ribadito a Nabil Sadek «l’inidoneità delle risultanze finora emerse». Ma dalla telefonata con il magistrato egiziano emerge un imminente nuovo cambio di scenario: «Quella non è l’unica pista», ha detto il procuratore generale a Pignatone. Tra gli inquirenti italiani rimane scetticismo. Non depongono a favore di una vera intenzione di cambiare atteggiamento le dichiarazioni di ieri del ministro dell’Interno egiziano, Magdi Abdel-Ghaffar, a margine dei lavori parlamentari, secondo quanto riporta il quotidiano Al Ahram . Il superministro della sicurezza dice che a rendere difficile l’individuazione dei torturatori e assassini di Giulio Regeni, non è il goffo tentativo di nascondere la verità, ma le «campagne ostili» della stampa. «Queste campagne — lamenta Ghaffar — sono lanciate in primo luogo dai media per sollevare dubbi circa gli sforzi del ministero dell’Interno nel trovare la verità sull’omicidio Regeni» (Piccolillo, Cds).

Pr Claudio Nucci, 56 anni, pierre romano molto noto, organizzatore di feste, incontri e serate, adescava ragazzini tra i 14 e i 16 anni in cambio di piccole somme o regali, come la felpa o l’accessorio griffato, e filmava i rapporti sessuali per poi poterli ricattare. Nucci è stato arrestato a febbraio e ora, sulla base delle prove raccolte durante una rapida inchiesta, il pubblico ministero Eugenio Albamonte ha chiesto nei suoi confronti il processo immediato. Assistito dal difensore Gianluca De Bonis, l’uomo avrebbe fornito alcune conferme nel corso degli interrogatori in carcere. É accusato di induzione e sfruttamento della prostituzione ma anche detenzione di materiale pedopornografico. Con una delle vittime, 16 anni, il cinquantaseienne avrebbe fatto sesso a pagamento per più di un anno, dal 2014 fino a poco prima dell’arresto. Le indagini fotografano una relazione di dipendenza e ricatto: Nucci lo minacciava di rendere pubblici foto e video girati nel corso di uno dei loro appuntamenti. Gesti di autoerotismo, primi piani di nudo, immagini molto esplicite. E l’avvertimento era perentorio: «Faccio vedere ’ste foto ai tuoi». La vicenda si è ripetuta con altri minori. Ma in un caso la famiglia si è accorta di quanto stava accadendo. Lo zio di una delle vittime ha decifrato lo strano comportamento del nipote, a volte aggressivo altre disorientato. Ha cercato tracce nel suo smartphone, si è imbattuto in qualche sms che ha chiarito cosa stava accadendo. Tre vittime accertate, ma gli investigatori sospettano altri episodi, una trentina sono quelli in via di approfondimento. In alcune intercettazioni, Nucci si vantava raccontando i dettagli a un amico (Sacchettoni, Cds).

(a cura di Roberta Mercuri)