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 2016  marzo 25 Venerdì calendario

Mercati di guerra. Perché le Borse sono indifferenti all’Isis. E perché non c’è da stare tranquilli

Qualcuno si sarà stupito dell’indifferenza con cui i mercati hanno accolto gli attentati di Bruxelles, la cui borsa ha chiuso in rialzo dello 0,5% nel giorno dell’attacco. Ma costoro hanno la memoria corta. Lo stesso era successo in occasione degli attentati di Parigi, da Charlie Hebdo al Bataclan.
Si potrebbe quindi essere tentati di voltare pagina, visto che martedì 22 marzo a smuovere un po’ le borse (e in senso positivo) ci ha pensato l’indice Ifo sulla fiducia delle imprese tedesche, rivelatosi migliore delle attese. Sui mercati basta allora l’Ifo per battere l’Isis? A ben vedere, un effetto tangibile delle stragi di Bruxelles c’è stato: l’indebolimento della sterlina. Si pensa infatti che il timore di nuovi attentati aumenti le probabilità di vittoria dei sostenitori della Brexit al referendum del 23 giugno. Nel tentativo di frenare l’arrivo di potenziali terroristi, infatti, molti elettori vorrebbero il blocco dell’immigrazione, cosa che si suppone più facile nel caso in cui il Regno Unito uscisse dall’Unione europea. La Brexit, poi, potrebbe dare il via a un contagio in grado di mettere a rischio le fondamenta dell’intera costruzione europea. I primi candidati a seguire l’esempio di Londra sarebbero i due Paesi che finora hanno espresso la linea più dura nei confronti dei migranti: Ungheria e Polonia.
Gli ottimisti a oltranza potrebbero obiettare: sono tutti Paesi che non adottano l’euro, l’unione monetaria può reggere il colpo. Anche perché c’è il Qe della Bce a tenere in piedi la baracca. Non si può però negare che lo scetticismo sull’efficacia del Qe sta aumentando, visto che a un anno dal suo lancio, l’istituto di Francoforte è stato costretto a potenziarlo in misura considerevole, portando tra l’altro gli acquisti di bond da 60 a 80 miliardi di euro al mese. La stessa Eurotower è scettica sull’efficacia delle sue nuove mosse. Lo dimostra il fatto che per il 2018 prevede l’inflazione all’1,6%, segno che nemmeno fra due anni sarà raggiunto l’obiettivo di un indice dei prezzi al consumo di poco inferiore al 2%. E così è subito partita la girandola di ipotesi su ulteriori, creativi interventi della Banca centrale europea. Non si tratta solo di chiacchiere delle sale operative per dare il via a qualche rapida speculazione. Peter Praet, esponente belga del Comitato esecutivo della Bce, non ha escluso che l’Eurotower possa stampare moneta e distribuirla gratis direttamente ai cittadini, realizzando così quell’helicopter money di cui parlò per primo nel 1969 il nume tutelare dei liberisti, l’economista Milton Friedman.
Prospettiva che fa rabbrividire Jens Weidmann. Il presidente della Bundesbank l’ha infatti bollata come «assurda». L’argomento è però stato sdoganato, ormai l’helicopter money, chiamato anche Qe del popolo, viene pubblicamente analizzato dai più autorevoli esperti. E il dibattito sembra seriamente cominciato tra le più alte autorità monetarie e politiche del Giappone, Paese che da molto più tempo della zona euro non riesce a raggiungere gli obiettivi di inflazione. Secondo la testata nipponica Sankei, che però non ha citato fonti, il governo di Tokyo sta studiando una distribuzione di buoni o certificati regalo ai giovani con basso reddito per contrastare «l’ingente flessione» dei consumi che caratterizzando questa fascia demografica. L’indiscrezione è stata rilanciata da Bloomberg, secondo cui il provvedimento potrebbe essere inserito nella manovra bis che l’esecutivo giapponese si prepara a varare: i voucher non potranno essere depositati o cambiati in contanti ma solo spesi in beni e servizi. I soliti ottimisti potrebbero obiettare che è ancora presto per uno scontro in Bce sull’helicopter money. Ma Weidmann ha detto ripetutamente di non essere affatto contento delle decisioni prese nell’ultimo riunione del Consiglio direttivo. E la prossima, in programma il 21 aprile a Francoforte, rischia di essere terreno di scontro. «L’ulteriore espansione del programma di acquisto porterà a un aumento delle tensioni sul tema del divieto di finanziamento monetario», ha messo le mani avanti il governatore della Banca centrale olandese, Klaas Knot.
C’è poi una notizia passata quasi inosservata, ma dalle implicazioni molto rilevanti. Dopo quattro anni, Cipro uscirà dal piano di salvataggio il prossimo 31 marzo. Ma poiché i suoi titoli di Stato non sono investment grade, a partire dal 1° aprile non potranno essere acquistati nell’ambito del Qe e nemmeno potranno essere accettati come collaterali dalla Bce. Come ha osservato Fabio Balboni, economista della Bce, «le conseguenze negative per il Paese dovrebbero essere limitate, dato che dispone di grandi riserve in contanti e le sue banche hanno un limitato bisogno di liquidità». Ma questo potrebbe essere il segnale che il sostegno del Qe non è senza condizioni. Non si sottovaluti Cipro. Si è visto infatti che il bail in attuato in occasione della crisi cipriota e spacciato come giusta punizione per gli evasori fiscali russi che avevano depositato i loro patrimoni nell’isola è diventato poi quello adottato per tutti i Paesi della zona euro. Quello a Cipro è quindi un avvertimento per tutti i Paesi discoli. Che non si illudano troppo, Bruxelles è diventata un po’ più flessibile sul tema dei conti pubblici, ma non è il caso di approfittarne perché è già pronta la punizione. Deve mettersi subito in riga il Portogallo, che non è più investment grade per S&P, Fitch e Moody’s. Se il 29 aprile dovesse arrivare il downgrade da Dbrs, Lisbona perderebbe l’accesso al Qe e le conseguenze, ha sottolineato Balboni, sarebbero più gravi di quelle subito da Cipro, poiché il Portogallo «ha maggiori necessità di rifinanziamento e le sue banche dipendono pesantemente dalla liquidità della Bce». Una bella arma per convincere il recalcitrante governo portoghese ad abbandonare le sue velleità di politiche espansive. C’è poi l’Italia: solo un gradino la separa dalla perdita dell’investment grade. Anche in questo caso il messaggio è chiaro: Matteo Renzi non esageri con le sue critiche alle politiche di austerità, altrimenti sarà costretto a fare stringere ulteriormente la cinghia ai suoi elettori. E così se la Bce con una mano offre il Qe (dalla dubbia efficacia sull’economia reale, vale la pena ribadirlo), dall’altra è pronta a toglierlo e ancora una volta bastona Cipro per fare capire la lezione a tutti gli altri.
Il tutto mentre gli attentati di Bruxelles assestano un colpo durissimo a Schengen (se si limita la libertà di movimento delle persone è inevitabile che ne risenta anche la circolazione delle merci) e fanno salire le probabilità di una Brexit che difficilmente si realizzerà al suono dei violini come vuole fare credere il sindaco di Londra, Boris Johnson (Berlino è già sul piede di guerra, le trattative per attuarla saranno durissime). La situazione è tale che due settimane prima delle stragi nella capitale belga, il ministro dell’Economia francese, Emmanuel Macron, aveva dichiarato: «Se la gente non crede più nell’Europa e nella zona euro, allora bisogna smantellarle. Senza i vincoli europei sul bilancio, il nostro riequilibrio economico sarebbe più forte e più veloce». Perfino lui comincia a preparare il terreno per abbandonare la barca che rischia di affondare. Prima o poi se ne accorgeranno anche i mercati.