Libero, 25 marzo 2016
La sottomissione italiana. Il futuro immaginato da Prosperi
Come tanti altri partiti, anche il PdV aveva le sue brave correnti e le sue ali estreme: a sinistra (se il termine può avere ancora un senso) la Gloria dell’Islam o GdI, una robusta forza d’ispirazione massimalista e salafita che non aveva mai fatto mistero di voler accelerare al massimo l’islamizzazione del Paese, applicando integralmente la shari’a a ogni settore della vita pubblica e sociale, rinchiudendo definitivamente i pochi cattolici praticanti nelle catacombe e spegnendo ogni dissenso politico, culturale, religioso; a destra i moderati di Fedele Italia, o FI, aperti al dialogo con le minoranze e fautori della teoria dei piccoli passi nella occupazione delle istituzioni.
Dopo le elezioni-scossa del 2015, che avevano inaspettatamente consegnato la maggioranza assoluta al PdV, il primo Presidente del Consiglio musulmano, Ishan Vincenzo Polito, era stato espresso dalla corrente centrale, maggioritaria nel partito, e lo stesso era stato per il suo successore Hagdi Vittorio Scalise. Entrambi avevano cercato di mettere in pratica un programma vasto e ambizioso, ma graduale, di islamizzazione delle istituzioni, a cominciare dall’istruzione e dall’amministrazione della giustizia, continuamente pungolati dai frondisti della GdI che chiedevano a gran voce il tutto-e-subito, mettendo a rischio a ogni piè sospinto la sopravvivenza dell’esecutivo.
La situazione apparentemente stabile aveva subito una decisa involuzione nel 2020, quando alla vigilia delle elezioni, che il PdV contava di vincere con stretto margine, il sanguinoso attentato della piana fiorentina di Sesto, che era costato la vita al candidato premier e uomo di punta della GdI, George Hassan, aveva provocato l’annullamento delle votazioni e l’instaurazione di un governo di salute pubblica affidato a un triumvirato: Gerini, Woodcock e Lanfranchi. Era stato un tentativo, da parte del Presidente della Repubblica Islamica, di congelare la situazione dando voce e rappresentanza a tutte e tre le componenti del PdV, la centrale e le due estreme.
Illusione durata poco, perché dopo la clamorosa defezione del Nord-Est (Veneto, Friuli e Alto Adige, cui si era aggiunta poi la Lombardia) la GdI aveva preso rapidamente il timone, posizionando il proprio triumviro, Magdi Ugo Lanfranchi, come premier unico del nuovo Governo; un Governo logicamente sbilanciato in senso radicale.
Da allora la componente salafita aveva mantenuto saldamente le principali leve del potere. Alla GdI apparteneva anche il successore di Lanfranchi, Hallam Lorenzo Franceschi, che però aveva subito una curiosa involuzione. Da leader radicale e massimalista si era trasformato poco a poco in un governante moderato – nell’azione concreta, perché a parole si riempiva sempre la bocca di shari’a – tanto da accreditare le voci che lo vedevano interessato a certe trattative sottobosco per tornare a riunire le due Italie. Il che lo mise in urto con i nuovi capi della corrente salafita, in particolare Hagdi Michele Barbera, Hamza Sergio Costantini e l’algerino Ahmed Messaoud, fieramente contrari a ogni ipotesi di riunificazione e fautori di una stretta applicazione della shari’a.
Dopo la sconfitta elettorale del maggio 2025 e la inopinata scomparsa dei tre leader radicali – ritiratisi a vita privata secondo la versione ufficiale, fatti fuori in uno scontro di palazzo secondo i più – Franceschi aveva tentato di gestire in modo indolore il passaggio dei poteri a un nuovo esecutivo laico, che come primo atto avrebbe stipulato un trattato con la repubblica del Nord-est per rendere possibile la riunificazione. Ma a quel punto, di fronte alla prospettiva di perdere il potere forse per sempre, i salafiti avevano dato luogo alla più estrema delle contromisure...
Il resto è storia