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 2016  marzo 25 Venerdì calendario

Ma qual è la strategia di Salah?

È ancora fitto il mistero su Salah Abdeslam, uno dei giovani attentatori di Parigi. Pentito pronto a collaborare o protagonista anche degli attacchi di Bruxelles se non fosse stato arrestato e come era stato previsto e ordinato dalla direzione strategica della cellula jihadista belga? A rendere ancora più spessa la coltre di nebbia che circonda la sua figura, le ultime immagini diffuse dalla tv belga sulla sua cattura. 18 marzo, municipalità di Molenbeek, Bruxelles. Teste di cuoio circondano l’area attorno al numero 79 di rue des Quatre-Vents. A pochi passi da quello che rivelerà essere l’ultimo “covo” del terrorista, un negozio di frutta e una farmacia. Un megafono avverte che è in corso una operazione di polizia. Al numero 79, otto teste di cuoio sono già in posizione di attacco, quando all’improvviso dal portone esce un uomo vestito con una felpa bianca. Scappa, ma dalle immagini non sembra fuggire con scatto da centometrista, un poliziotto spara, lo colpisce a una gamba. Poco dopo, si vede Salah trascinato zoppicante verso una macchina dei servizi di sicurezza. Strano blitz. Salah era in trappola, l’edificio circondato, perché tentare la fuga con il rischio di finire ammazzato? E strane appaiono anche le modalità della sparatoria. Pochi i colpi esplosi all’indirizzo del fuggitivo, quando Salah viene portato nell’auto, zoppica ma non sembra sanguinare. Misteri, come quelli che avvolgono la vita del giovane jihadista, e soprattutto la sua lunga e ancora inspiegabile latitanza.
“Finalmente è finita” e i sospetti sul blitz
Qualcuno aveva azzardato l’ipotesi che la sua cattura sia stata in qualche modo concordata con l’intelligence belga, una sorta di resa, ad avvalorare questa ipotesi le prime parole del suo avvocato, Sven Mary, fatte filtrare a poche ore dall’arresto sui media. “Sono stanco – avrebbe detto Salah –, finalmente è finita”. Altri avanzano scenari più inquietanti, anche perchè negli attentati di Parigi avrebbe dovuto farsi saltare allo stadio e non lo aveva fatto, e sue eventuali rivelazioni alle forze di sicurezza non sarebbero state tali da mettere in crisi il network terrorista che opera tra Francia e Belgio.
Misteri sulla rete che ha coperto la sua lunga latitanza, iniziata il 14 novembre, quando Salah sfugge a un primo blitz a Molenbeek. Il 21 novembre altri blitz a Bruxelles, ma del terrorista neppure l’ombra. Si diffonde la voce che sia fuggito in Siria, ma poche settimane dopo, il 10 dicembre, sue tracce vengono trovate nel corso di un’irruzione in un appartamento nella municipalità di Schaerbeek. Per giorni, Salah gira in Europa indisturbato e protetto. I servizi segreti francesi segnalano la sua presenza a Forest, ma lui riesce a sfuggire a un altro blitz nel corso del quale muore un jihadista di nazionalità algerina. Una fuga continua fino al 18 marzo, data della sua cattura e balletto di dichiarazioni sulla sua volontà di collaborare. È l’inizio di una raffinata strategia mediatica degli strateghi del terrorismo.
Le confessioni e l’effetto dei flash
La pedina Salah viene spostata abilmente, ora è nel campo di possibili collaborazioni. Sulla scena irrompe Sven Mary, il suo avvocato, uno dei dieci migliori penalisti del Belgio. Ha difeso terroristi e canaglie della peggiore specie. Jeans, giacconi militari, eloquio fluente. Un avvocato molto televisivo. Il quotidiano Het Nieuwsblad rivela le prime parole di Salah, “Sono contento che sia finita, non ne potevo più”. L’avvocato rilancia: “Il mio cliente è sollevato che la caccia sia finita”. Corrono voci che Salah stia rivelando la pianificazione di nuovi attentati in Belgio. L’avvocato chiarisce: “Il mio assistito ha informazioni di grande valore, ma non vuole diventare un informatore”. Pochi giorni e cambia lo scenario: “Salah è di importanza capitale per questa indagine, vale oro, collabora, non usa il diritto a restare in silenzio”. Dichiarazioni che si accompagnano a una battaglia contro l’estradizione in Francia del giovane jihadista.
Ultima fermata: aeroporto e metrò
Le bombe esplose martedì scorso all’aeroporto e nella metropolitana di Bruxelles si incaricano di smontare ogni ottimismo sulla volontà del terrorista di collaborare. Salah sapeva – doveva anche partecipare, l’ultima novità –, i due kamikaze che si sono fatti saltare all’aeroporto, i fratelli Brahim e Khalid el Bakroui, avevano protetto la sua fuga, vissuto con lui per settimane negli stessi covi. Ieri il suo avvocato ha annunciato un nuovo cambio di strategia: Salah non è più un collaboratore, non ha parlato né degli attentati di Parigi, meno che mai di quelli di Bruxelles, “è rimasto muto”. Ora ha accettato l’estradizione in Francia e “vuole tornarci il prima possibile”.