La Stampa, 24 marzo 2016
I gessetti e i cuori conto i kalashnikov e le bombe. Non vogliamo capire in che situazione ci troviamo
Nel trovare lenimento al dolore siamo bravissimi. Martedì sera un ragazzo col violoncello ha suonato una suite di Johann Sebastian Bach in place de la Bourse a Bruxelles, come a novembre un altro aveva trascinato a fatica un pianoforte, ripreso dagli smartphone, per suonare Imagine di John Lennon in place de la République a Parigi. «È la risposta ai terroristi», si legge nelle didascalie on line. La risposta ai terroristi, ieri, ha contemplato un minuto di silenzio durante il quale una donna, in prima fila fra i dirigenti del Parlamento europeo, esibiva un biglietto con un cuore giallo su sfondo rosso e nero, i colori della bandiera belga. I cuori e i colori sono l’arsenale moderno. Di luci rosse gialle e nere si è ridipinta l’intera Europa, la fontana di Trevi a Roma, la tour Eiffel a Parigi, la porta di Brandeburgo a Berlino. E fogli con cuori rossi o spezzati hanno coperto il selciato di Bruxelles insieme con altri grandi classici: candele, pupazzetti di peluche, fiori, disegni. Nelle iniziative consolatorie abbiamo una certa fantasia, anche se già un po’ prosciugata: dopo Charlie Hebdo e il Bataclan si era addobbata la base della statua della Repubblica con post it contenenti messaggi di pace che spiccavano per ottimismo; stavolta la variante sono i gessetti, non i pensierini scritti sull’asfalto attorno all’idea che l’amore vincerà. Fu suggestivo, lo scorso novembre, il dialogo ripreso dalle telecamere fra un padre e il figlioletto parigini, con l’adulto che sosteneva la forza dei fiori contro quella dei fucili, e il piccino perplesso, «ma papà, i fiori non fanno niente».
Queste indomabili manifestazioni di sentimenti, senza dubbio nobili, contrastano con la vicenda del tassista belga che martedì ha condotto all’aeroporto di Zaventem i kamikaze islamisti, i quali avevano con sé valigie enormi e pesanti e hanno preteso che il tassista non le toccasse. Non gli è scattato nulla. Ha lasciato ronzare ozioso il sospetto finché, a carneficina avvenuta, ha visto il fermo immagine con gli attentatori e ha chiamato la polizia. Le reazione del tassista prima e di tutti noi dopo rafforzano il sospetto che non ci sia voglia di capire la situazione: mazzi di fiori in cambio dei proiettili sono il corrispettivo delle rassicurazioni scambiate in Italia: qui non succederà niente perché abbiamo dei servizi segreti coi fiocchi, altro che i belgi. Lo ripete chiunque, analisti e gente della strada. Che i servizi segreti stiano facendo il loro lavoro è nei fatti e nei risultati, ma che ci proteggeranno per sempre è una deduzione irrispettosa e vagamente infantile: qualcuno ieri ha ricordato che nel 1980 Alì Agca arrivò armato in Vaticano e sparò a Giovanni Paolo II senza che nessuno si accorgesse di nulla. Ma fa niente, fiducia cieca, e gessetti a portata di mano.
A profilassi vaporosa e retorica adolescenziale si aggiungerebbe un minimo di consapevolezza, di capacità di immaginare il rischio e di riconoscere il nemico, se i leader politici per primi dicessero qualcosa di meno dolce e convenzionale. Invece sono loro i capofila della dottrina dei cuori e dei colori, dell’abbracciamoci forte, e twitter ne è il tazebao. Con una certa crudeltà è toccato notare, di fronte al pianto dell’Alto rappresentate della sicurezza europea, Federica Mogherini, che Winston Churchill le lacrime non le aveva versate, ma promesse ai cittadini in cambio della vittoria. E non è parso molto più determinato il premier Matteo Renzi, ieri, quando ha ripetuto che «bisogna mettere denari veri sulle aree urbane. Serve un gigantesco investimento in cultura, sulle periferie urbane, un investimento sociale» perché continua a ritenere «che sia fondamentale l’aspetto educativo per sconfiggere le minacce nate e cresciute in Europa». A lungo termine è un ottimo progetto, ma rimane oscuro quello che si intende fare oggi, subito; contro i kalashnikov e contro le bombe, i maestri possono quanto Bach e Lennon.