ItaliaOggi, 24 marzo 2016
È arrivato il partito della nazione, gli azionisti hanno vinto e tutti gli altri non solo hanno perso ma sono pure marchiati con la «p» di populisti (o neopatentati)
«Il populismo è il principale nemico della democrazia», questo è il leitmotiv di quelli con la puzza al naso. Concetto incontrovertibile, se riferito a uno scenario che però non esiste più, valeva quando la democrazia era garantita da due aree culturali ed economiche, uguali e diverse, che si succedevano alla guida del paese, facendo crescere l’economia e l’equità sociale, senza ridurre la democrazia. L’esempio mito della mia giovinezza e maturità furono gli Stati Uniti, ai repubblicani (il centro-destra) che facevano politiche di liberalizzazioni, di libertà di intrapresa, di riduzione tasse, incrementando la ricchezza, succedevano i democratici (il centro-sinistra) che questa ricchezza in parte la ridistribuivano. E così in Francia, in Gran Bretagna, in Germania. In Italia durò meno, un giorno arrivarono i catto comunisti, e fu orrenda ratatouille vegana. A noi cittadini l’alternanza piaceva, la classe media cresceva, quella povera sognava, forse in una o due generazioni sarebbe diventata media.
La caduta del muro, la globalizzazione, la tecnologia, la grande crisi del 2008 (simile a quella del ’29, ma senza soluzione incorporata: la seconda guerra mondiale) ha fatto saltare il giochino. Anzi, si è spezzato, essendo un gioco meccanico non era più ricostruibile (nel magazzino della storia mancavano i pezzi di ricambio), di più, l’analogico si fece digitale: due cicli cultural-evolutivi spiazzanti. Poi, l’economia prese il posto della politica, il ceo capitalism quello del capitalismo classico, i primi a capirlo furono le élite, per difendersi crearono forme bastarde di alleanza fra destra e sinistra, così sono nati, spesso senza neppure registrarli all’anagrafe, i Pdn euro-americani, (Partito della nazione), la Ruling Class di Angelo Codevilla.
Non sono un politologo, mi affido alle mie sensibilità animalesche. Da alcuni anni mi sono reso conto, anzi ho la certezza che le attuali leadership non sono in grado di superare la grande crisi del 2008. Provo tenerezza verso i keynesiani, più o meno «neo», (orfani di un Keynes mai esistito?), verso i liberisti di Mont Pelerin (seppur come anarco-liberale qui mi ritrovo, qui ho molti degli amici più cari, però la loro «sottomissione» mi turba), verso le ex sinistre (dove ho molti amici con i quali mi sento vicino sugli obiettivi sognati, non certo sulle vecchie modalità con le quali li vogliono raggiungere). Il paradigma sopradescritto (classe media in crescita e così pure la classe povera, e osmosi dell’una verso l’altra) è morto, con il ceo capitalism è diventato altro: classe media impoverita, classe povera sedata, classe sacerdotale odiata.
Quando sono in forte difficoltà (come in questo periodo) ritorno alle intuizioni di mio papà. Nel ’47 prima di morire (a 41 anni) non possedendo nulla, se non tanti libri pieni di note, lasciò alla mamma il suo testamento politico-spirituale in forma orale (ero presente, avevo 13 anni, capii poco, però il pathos di quel momento mi avrebbe segnato per sempre, anni dopo la mamma me lo tradusse). Papà, operaio Fiat, feroce antifascista, anticomunista viscerale, paventava che sarebbero andati al potere quelli del Partito d’azione (lui li conosceva bene, erano in gran parte torinesi). Ci misi molti anni a capire il motivo di questa sua analisi spietata, presi singolarmente mi sembravano persone perbene, intelligenti, aperte. Certo, quando li conobbi io non erano più azionisti in purezza ma catto-liberal-comunisti. Solo con l’arrivo al potere di Ciampi, e dei suoi boys, un brivido mi percorse la schiena, capii la sua grande intuizione: cinquant’anni dopo, spogliatisi degli abiti da cattocomunisti, li riconobbi, erano tornati loro, i loschi azionisti paventati da papà.
L’accidente Berlusconi fece loro perdere molti anni, ma pure li rafforzò, nel frattempo l’Occidente tanto più si degradava, tanto più rassomigliava a loro, l’economia li aiutava, sia quando cresceva, sia quando decresceva, loro uomini erano piazzati nei posti chiave, dai loro salotti-terrazze, governavano la comunicazione in scioltezza, la politica veniva via via sostituita dall’alta burocrazia loro devota, il ricatto sociale il loro modello di governance. Il cerchio stava per chiudersi, ci voleva la spallata finale, toccò a Europa, Bce, Quirinale. E allora, via l’insopportabile parvenu-traditore dai tratti del burlesque. Qualche anno di melina, forse ci siamo, è arrivato il momento di togliere il drappo? È arrivato il partito della nazione? Gli «azionisti» hanno vinto? Tutti gli altri non solo hanno perso ma sono pure marchiati con la «p» (populisti o neopatentati), per ora possono ancora circolare, ma solo con il foglio rosa? Un pensiero ammirato e pieno di amore a mio papà. Buona Pasqua.