Il Messaggero, 24 marzo 2016
Letizia Battaglia, l’eroina della fotografia contemporanea che ha sfidato la mafia
«Sono legata a Palermo da un rapporto d’amore, profondo, complesso, conflittuale. Ha segnato la mia vita, con la sua bellezza, la sua cultura, la sua gente. Ma l’ho anche lasciata per anni. Poi, ci ritorno. Perché, alla fine, Palermo mi cattura. È come una malattia inguaribile». In questo groviglio di contraddittorie emozioni, comunque non c’è posto per la parola odio. «Oh, no», dice Letizia Battaglia, soave nome francescano associato, guarda caso, a un cognome da combattente. «Ma rabbia, sì. Palermo mi fa rabbia per quello che potrebbe e dovrebbe essere, una città straordinaria e importante. Mi fa rabbia per i mali che l’affliggono e dai quali ancora non si libera. Oggi, finalmente, c’è voglia di lottare per cambiare le cose. Però bisogna metterci la faccia e il corpo». Lei – tra gli anni 80 e 90 consigliere comunale con i Verdi e assessore comunale con la giunta di Leoluca Orlando, nel ’91 deputato all’Assemblea regionale siciliana con la Rete e oggi vice presidente della Commissione cultura – lo fa da una vita.
Madre coraggio, la grande fotografa che ha sfidato la mafia è un simbolo di Palermo nel mondo intero e la città la celebra fino all’8 maggio a Zac Cantieri Culturali della Zisa con Anthologia, una retrospettiva curata da Paolo Falcone che presenta 140 immagini esposte insieme per la prima volta. La mostra si accompagna a un sontuoso volume delle edizioni Drago dallo stesso titolo, con un testo di Falcone (legato da anni a Shobha, figlia di Letizia e magnifica fotografa come la madre) e gli omaggi di Wim Wenders («Letizia è uno dei miei eroi della fotografia contemporanea») e di Dacia Maraini (sullo stile «fatto di attenzione, generosità e coraggio»). A Roma, Letizia Battaglia ne parlerà a Villa Medici con il giornalista Eric Jozsef alle 19 di giovedì 24 per il ciclo “I giovedì della Villa”, organizzato dall’Accademia di Francia a Roma.
Letizia, nella mostra, accanto alle foto sulla mafia, colpiscono quelle, spesso eccezionali, delle bambine...
«Per me hanno un’importanza enorme. Mi riportano indietro nel tempo quando, dopo la nascita a Palermo nel ’35, avevo trascorso da bambina alcuni anni a Trieste e avevo respirato l’aria della libertà ritrovata. Ritornata a Palermo, sognavo la libertà e, nelle immagini delle bambine che ho fotografato, ho cercato quel sogno indimenticabile. Ho sempre pensato a me stessa come una persona libera, ho sentito di avere diritto alla libertà».
C’è uno sguardo benevolo anche sulla gente di Palermo. Vengono in mente le parole di Totò, a Napoli ci sono i galantuomini «ma i mascalzoni, no, non ci sono». Si può dire la stessa cosa anche per Palermo?
«Beh, non me la sento di dare lo stesso giudizio. Purtroppo, a Palermo, i mascalzoni ci sono! La mafia c’è stata e c’è. Ci sono connivenze velenose, è inutile negarlo. Ma c’è finalmente una maggioranza di persone che oggi vogliono cambiare le cose».
La mostra rivisita soprattutto i delitti dagli anni 70 ai primi anni 90, con le sue vittime: Giuseppe Impastato, Cesare Terranova, Piersanti Mattarella, Michele Reina, Dalla Chiesa, Falcone e Borsellino, fino all’iconico capolavoro di Rosaria Schifani, vedova di Vito, ucciso con Falcone a Capaci. E adesso?
«Quegli anni sono stati un orribile bagno di sangue. Ma sarebbe un tragico errore pensare che la mafia non esiste più e, dopo, sia stata cancellata. La mafia non uccide come prima ma c’è e può ancora uccidere, basti pensare a don Puglisi. Dopo Capaci e via d’Amelio c’è stata un reazione molto importante della città e della società civile. La disoccupazione, soprattutto quella giovanile, però è terribile. Non è il caso di abbassare la guardia. Per questo mi sto impegnando per far nascere il nuovo Centro internazionale di fotografia alla Zisa».
Qual è l’obiettivo del progetto?
«Ricostruire attraverso la fotografia una memoria della città e della sua gente. Ci lavoro da qualche anno. Sarò il direttore artistico di questo spazio ai Cantieri Culturali che il sindaco Leoluca Orlando mi ha affidato per la creazione di mostre, incontri, workshop. La Sicilia ha una tradizione di grandi fotografi. Ferdinando Scianna, Enzo Sellerio, Tano d’Amico... Mi dedico alla fotografia dal ’71 quando ho incontrato un grande fotografo come Franco Zecchin. Conoscerla, capirne le risorse, può essere uno strumento prezioso di identità e di lotta».