La Stampa, 24 marzo 2016
Senza queste nozze fredde avremmo avuto una fuga degli investitori dal sistema delle banche popolari italiane
È una fusione fredda, anzi gelida, quella a cui sono arrivati ieri dopo non poche pressioni – da Francoforte come da Roma – i consigli della Popolare di Milano e del Banco Popolare. Fredda perché entrambi i soggetti erano partiti tutt’altro che intenzionati ad abbandonare pratiche di governance solidamente ancorate alle clientele sindacali o ai potentati locali in nome di maggiori efficienze. Ma comunque fusione perché alla fine il processo che farà nascere la terza banca italiana è stato avviato: da 44 consiglieri del combinato disposto degli organi sociali delle due banche si passa a 19 (e a 15 dopo un triennio); dalle quattro sedi inizialmente proposte si scende a due; si scaricano crediti di dubbia qualità e si rafforza il patrimonio; con sollievo specialmente dei veronesi.
Se l’annuncio di ieri sera non fosse arrivato – lo pensano in molti nelle stanze del potere finanziario, ma anche in quelle di chi vigila su quel potere – il rischio di una fuga degli investitori dal sistema delle banche popolari italiane sarebbe stato pressoché scontato. A più di un anno dal decreto del governo Renzi che dava alle Popolari diciotto mesi per trasformarsi in società per azioni ed abbandonare così la loro governance peculiarissima – una testa un voto, che si abbiano due o duecentomila azioni – contando così di avviare un processo di concentrazione, le nozze tra Milano e Verona mostrano che qualcosa comincia a muoversi. Altre fusioni dovrebbero adesso seguire, contribuendo sia a disincrostare sistemi di potere autoreferenziali che durano da decenni, sia a rafforzare le banche in modo che alla fine possano fare meglio il loro lavoro di dare credito alle imprese. Un banco di prova interessante sarà quello che accade più ad Est di Verona, dove due star creditizie dell’ex miracolo veneto come Popolare di Vicenza e Veneto Banca si trovano oggi a far fronte a una ricapitalizzazione dal successo tutt’altro che assicurato
Quello delle Popolari non è comunque l’unico cantiere bancario impegnativo per l’Italia. La grande massa di crediti deteriorati resta là anche dopo l’accordo tra il governo italiano e Bruxelles per creare veicoli che portino sul mercato questi crediti. I dati di gennaio mostrano un lievissimo aumento in dati assoluti delle sofferenze lorde – da 201 a 202 miliardi – mentre il loro peso scende rispetto agli impieghi del settore e mentre le sofferenze nette calano da 89 a meno di 84 miliardi. Presto, dunque, per festeggiare anche perché ci vorrà ancora molto tempo per creare davvero – con il contributo delle garanzie pubbliche – un mercato dei crediti deteriorati che consenta alle banche di venderli senza bruciarsi i bilanci.
Tra le Bcc, le banche di credito cooperativo un tempo celebratissime come esempio di attaccamento del credito al territorio – ma purtroppo, si è scoperto poi, anche del territorio al credito – ci sono numerosi casi di debolezza. Il responsabile della vigilanza di Bankitalia Carmelo Barbagallo ne ha individuate addirittura una cinquantina – lo ha detto due giorni fa – così fragili che rischiano «tensioni» se dovessero adeguare rapidamente il patrimonio alle richieste delle autorità. La via d’uscita per loro sta nel decreto che le raggruppa sotto una stessa holding: non solo perché rafforzerà il mutuo soccorso fra gli istituti, ma anche perché la holding avrà la possibilità di andare a cercare risorse sul mercato.
E poi ci sono casi come quelli di Carige e Mps. Banche grandi che devono trovare assetti più solidi, ma stentano a farlo. Per i genovesi si vedrà se il nuovo socio forte Vittorio Malacalza riuscirà a raddrizzare la situazione. A Siena le cose sembrano ancora più complesse: il pressing informale – ma non per questo meno insistente – del governo per risolvere il caso Mps non porta per ora da nessuna parte. Intesa-Sanpaolo si divincola sistematicamente dalle richieste di intervento, la Cassa Depositi e Prestiti – per costituzione più permeabile alle richieste della politica – nicchia. Una soluzione andrà trovata e sarà con ogni probabilità una soluzione che chiamerà in causa una qualche forma di intervento pubblico: non saranno i 55 miliardi stanziati dalla Germania per le sue banche o i 40 della pur piccola Irlanda. Ma le tensioni tra l’Italia e l’Europa sul fronte bancario – c’è da scommetterci – non sono ancora finite.