il Fatto Quotidiano, 23 marzo 2016
L’Argentina a quarant’anni dal golpe
Il golpe che il 24 marzo di 40 anni fa portò al potere la dittatura militare in Argentina avvenne in una situazione di violenza estrema, iniziata con il ritorno in patria del generale Peron e la sua nomina a presidente. L’Argentina era una democrazia fragile dilaniata da una guerra civile, acuita nel 1974, dopo che la sinistra peronista confluita nel movimento dei Montoneros si dette alla clandestinità con operazioni di guerriglia simili a quella dell’altro gruppo terroristico dell’Esercito rivoluzionario del popolo di estrazione comunista. È stato calcolato che nel decennio 1969-79 vennero compiuti 21.000 attentati e esplosero 4.380 bombe che causarono la morte di 1.100 civili.
L’assassinio del sindacalista amico di Peron Juan Josè Rucci nel 1973 acuì la svolta a destra con l’entrata in azione delle macabre squadre della “triple A” (Alleanza anticomunista argentina) che iniziarono una politica di sequestri. La morte del generale il 1° Luglio 1974, a cui successe la moglie Isabelita (manovrata dal piduista Lopez Rega, ex maggiordomo di famiglia) fece precipitare la situazione. Agli inizi della primavera del ‘76 si insediò la giunta militare guidata dal generale Jorge Rafael Videla.
Il successivo processo di “Riorganizzazione nazionale” portò all’abolizione della Costituzione e la decisione di procedere alla lotta contro il terrorismo utilizzando l’eliminazione fisica di sovversivi o comunisti da attuarsi mediante sparizioni sistematiche. Senza processo, poiché si voleva evitare l’ingerenza che il Papa aveva avuto sul regime franchista spagnolo sulla questione delle esecuzioni di terroristi dell’Eta.
Un genocidio programmato da uno Stato, che incluse centri di detenzione dove si praticavano torture ed eliminazioni con l’uso di voli sul Rio della Plata dai quali si lanciavano persone narcotizzate. Compiute tali operazioni i responsabili si ritiravano nelle loro case come buoni padri di famiglia, spesso benedetti da preti, quasi si trattasse di una missione divina. La Chiesa Cattolica si divise tra un appoggio al regime, una lotta allo stesso e posizioni più diplomatiche e dialoganti (quali quella dell’allora cardinale Bergoglio) che permisero di salvare molte vite.
La diffusione di notizie su questa tragedia fatta da organizzazioni dei diritti umani (in particolar modo le Madri di plaza de Mayo), giornalisti dotati di un coraggio encomiabile (tra i quali l’italiano Italo Moretti che rischiò la vita per realizzare servizi trasmessi dalla Rai) e una frattura interna tra i poteri militari provocarono una pressione tale che, dopo la disastrosa guerra delle Isole Malvinas/Farkland con il Regno Unito, accelerarono il processo di dissoluzione della dittatura che indisse elezioni democratiche vinte il 10 dicembre 1983 dal radicale Raul Alfonsin che creò una commissione per giudicare i crimini della dittatura risoltasi nel celeberrimo processo passato alla storia con la frase “Nunca Mas” pronunciata dal magistrato Julio Cesar Strassera.
Le condanne provocarono le reazioni dei militari che culminarono nella settimana Santa del 1987 con una ribellione che mise alle strette il governo di Alfonsin costringendolo a promulgare due decreti (“Punto final” e “Obediencia debida”) che, seguiti dall’amnistia del successore Carlos Menem (nella quale entrarono anche i crimini compiuti dai terroristi), annullarono le condanne, poi ristabilite nel 2003, solo per i militari, sotto la presidenza di Nestor Kirchner.
Nello stesso tempo iniziò un processo di revisione storica, funzionale alla politica di un governo paladino dei diritti umani (usati come scudo alla sua immagine) dove la lotta armata degli anni ‘70 venne propalata come messa in atto da una “Gioventù meravigliosa” propagandando la teoria della “guerra buona” contro quella “cattiva” che traspare specialmente dalla riscrittura della prefazione dello storico libro “Nunca Mas” di Ernesto Sabato fatta da Hebe de Bonafini, leader di un gruppo di Madri di Plaza de Mayo cooptate dal potere kirchnrista.
Questo ha portato Ricardo Lais, ex guerrigliero Montonero rifugiatosi in Brasile, a pubblicare pochi anni fa libri che, uniti a una pellicola intitolata “Il dialogo” (ovvero un suo incontro con Graciela Fernandez Mejilde ex ministro, madre di un desaparecido e attivista dei diritti umani) tracciano un percorso, poi seguito da tanti altri ex compagni, di assunzione di responsabilità nella tragedia che portò alla sparizione di migliaia di “desaparecidos”.
Ma di quell’epoca stanno ancora emergendo particolari sempre più inquietanti tra i quali il rapporto tra uno dei repressori più sanguinari, il generale della Marina Emilio Massera, e alcuni Montoneros per la creazione di un partito capeggiato da Massera, che si voleva candidare alla presidenza nell’ormai inevitabile transazione democratica. Recentemente pure la figura del giornalista Horacio Verbitsky (autore dei libri che hanno messo alla luce i “voli della morte”) ed ex Montonero è stata messa in dubbio da un libro dello scrittore Gabriel Levinas che lo accusa di rapporti “confidenziali” con i militari.
Come si vede, nonostante siano passati 40 anni, una ferita ancora aperta che si spera l’apertura degli archivi segreti Usa promessa da Obama possa aiutare a chiudere.