Libero, 23 marzo 2016
Un ristorante su due chiude dopo 5 anni
Bassa produttività, troppa improvvisazione ed eccessiva burocrazia e fiscalità: sono queste le minacce che gravano sul futuro della ristorazione in Italia secondo Lino Enrico Stoppani, presidente della Fipe (Federazione Italiana Pubblici Esercizi), una delle grandi realtà del commercio composto da 300mila esercizi che producono un valore aggiunto di 40 miliardi. «Ma soprattutto – continua Stoppani – un grande fattore attrattivo per il turismo italiano: gli stranieri la prima volta vengono per ammirare l’arte e la cultura e come secondo motivo per la cucina, che però diventa il primo fattore di scelta per i ritorni».
Il 2015 come è andato?
«Tutto sommato meglio che in altri settori per quanto riguarda i risultati. A preoccupare casomai è l’alto livello di mortalità delle imprese».
Che cosa significa?
«Che il numero delle imprese avviate e attive dopo 5 anni sono solo 52 su 100, con ben 48 imprese che hanno chiuso i battenti, con un turnover elevatissimo, sintomatico delle difficoltà del mestiere e degli effetti di una crisi, che ha bruciato oltre 6 miliardi di euro: tra tagli e mancata crescita».
Se metà delle imprese chiude in così poco tempo la prima cosa che viene in mente è che il settore vive un grande momento di difficoltà.
«Purtroppo c’è molta improvvisazione, in un lavoro che invece richiederebbe requisiti professionali allargati e in primis capacità imprenditoriale».
Pensa a una revisione della liberalizzazione delle licenze?
«Lo scopo delle liberalizzazioni era quello di favorire il consumatore, stressando l’aspetto concorrenziale. L’effetto è stato ottenuto, con una forte competizione sul fattore prezzo, ma si sono prodotti anche diversi effetti collaterali. Per cui oggi il settore soffre di eccesso di offerta che ha portato dequalificazione, un “imbastardimento” dei mestieri e favorito fenomeni sociali gravi, come l’alcolismo, la mala-movida, le ludopatie e altre problematiche».
Perché?
«Perché la struttura dei costi è fatta da tre voci fondamentali: affitti passivi, costo del personale e food cost. I primi due sono praticamente incomprimibili. Non resta che intervenire sulla terza componente, ma il risultato è poco producente perché incide sulla qualità. L’Italia è famosa nel mondo per la sua cucina che, come dicevo prima, è la molla che spinge i turisti a tornare. Se abbattiamo gli standard qualitativi della ristorazione facciamo male a tutto il brand Italia».
C’è anche la criminalità tra i fattori critici del settore.
«La malavita riesce sempre a trovare nuovi sbocchi per il suo business. Anzi, più c’è crisi, più c’è lavoro per la criminalità. Sfrutta i momenti di debolezza degli operatori per acquisire a poco prezzo le imprese, utili a riciclare denaro. La Fipe agisce in questo senso sensibilizzando le istituzioni a intervenire per prevenire la criminalità».
Però con lo Stato avete un conto aperto sotto il profilo fiscale: a che punto siete?
«È davvero difficile amministrare un’attività se le tasse – nazionali e locali – hanno il peso che conosciamo, che impongono una revisione del sistema fiscale sul quale da tempo è aperto un cantiere. In generale i tributi locali hanno avuto un’impennata significativa, anche per finanziare i problemi di finanza degli Enti locali. È necessario quindi neutralizzare il rischio delle clausole di salvaguardia che prevedono un innalzamento dell’Iva in caso di difficoltà del bilancio pubblico, oltre a prevedere una graduale riduzione della tassazione a carico delle famiglie, per rilanciare i consumi, e forme di incentivazione agli investimenti delle imprese».