la Repubblica, 23 marzo 2016
Come salvare il baseball cubano. Anche di questo hanno parlato Obama e Castro
Non sarà per niente contento Fidel, che magari avrà visto in tv, come tutti i cubani, la partita di baseball che ieri sera ha concluso la visita a Cuba del presidente Obama. La nazionale dell’Avana ha perso 4-1 contro i Tampa Bay Rays, squadra americana di San Petersburg, in Florida.
Il vero grande assente della storica tre giorni cubana di Obama è tifosissimo del baseball, sport che ha praticato a lungo fin da ragazzo e nel quale – raccontano i libri – era anche piuttosto competitivo. «Voleva sempre vincere lui». Al fratello minore, Raúl, il presidente di Cuba seduto ieri accanto a Obama nel “recinto sacro” del baseball cubano, lo stadio dell’Avana, piacevano i combattimenti dei galli. Così Fidel è finalmente riapparso durante le pause dell’incontro ma solo in vecchi filmati mentre gioca trasmessi dalla tv cubana per omaggiarlo. Nello stadio strapieno (erano in 45mila) anche Ivan Márquez, leader delle Farc, che stanno negoziando la pace con Bogotà.
Il baseball è un altro dei capitoli da risolvere nella riconciliazione. Sull’isola la “pelota”, come lo chiamano i cubani, è soltanto dilettantistico. Per quanto privilegiati, gli atleti sono dipendenti dello Stato, e guadagnano 200 dollari al mese. Quelli bravi nella Major League (Mbl), possono ottenere cifre da capogiro, contratti da 50 milioni di dollari. Non c’è partita. E infatti negli ultimi anni la nazionale di baseball cubana ha perso molto del suo smalto dei tempi migliori, quando vinceva la medaglia d’oro alle Olimpiadi, proprio per l’emorragia dei suoi giocatori che se ne vanno all’estero. Quella verso gli Stati Uniti è una fuga in piena regola, spesso anche pericolosa, che vuol dire per i giocatori, in cambio di lussuosi contratti, anche rompere con il proprio Paese. Come Dayton Varona che ieri è tornato in patria per la prima volta dopo tre anni giocando nei Tampa Bay Ray contro la sua ex nazionale. Da anni l’affare della fuga viene gestito a Miami da agenti che vendono il giocatore alle squadre americane e organizzano “l’evasione”, incassando parte dei soldi del contratto. Qualcuno è anche finito in galera, processato dai tribunali americani. Ma per accettare un accordo sul baseball e consentire ai suoi “peloteros” di giocare nel campionato Usa, Cuba vorrebbe in sostanza che restassero “proprietà dello Stato” e che, come avviene con le aziende straniere che lavorano nell’isola, chi prende il giocatore paghi l’ingaggio allo Stato cubano che poi si occuperebbe di restituirgliene una parte, come avviene, per esempio, con gli impiegati degli alberghi. Ma il viaggio cubano di Obama sarebbe servito anche a limare differenze. E ieri, durante la partita, è stata annunciata un’ipotesi di accordo nella quale si prevede che «un giocatore di baseball cubano potrebbe andare in America, giocare e guadagnare uno stipendio ma una parte di quel denaro tornerebbe alle leghe sportive di Cuba».