Libero, 23 marzo 2016
Quei 300 milioni che gli ex dell’Etruria dovranno restituire
Ad Arezzo da qualche mese in qua non mancano le cattive notizie e anche ieri sono stati avvistati in giro per la città messaggeri di sventura. Questa volta con la divisa dei postini. Dopo il commissariamento della Banca popolare dell’Etruria e del lazio (Bpel), la sua liquidazione coatta, la dichiarazione dell’insolvenza, le sanzioni inflitte a diversi vecchi dirigenti, i fascioli penali aperti per numerosi e gravi reati, compreso quello di bancarotta fraudolenta, è stato recapitato via posta agli ex vertici dell’istituto un conto salatissimo. Infatti il 17 marzo scorso il commissario liquidatore della Bpel Giuseppe Santoni ha preso carta e penna per chiedere la restituzione di 300 milioni a 37 ex amministratori, in sella tra il 2010 e il 2015: si va dai componenti degli ultimi tre cda, a quelli dei comitati esecutivi, dai collegi sindacali ai direttori generali. Tra i destinatari della lettera di messa in mora ci sono anche gli ex presidenti Giuseppe Fornasari e Lorenzo Rosi, oltre a due ex noti vicepresidenti: Pier Luigi Boschi, il babbo della ministra delle Riforme Maria Elena, e Natalino Guerrini, di cui questo giornale ha raccontato in esclusiva un presunto conflitto d’interesse relativo al finanziamento a una società che produce pannelli solari. In tutto fa circa 8 milioni a cranio, una bella sommetta da restituire. Tanto che un ex dirigente contattato da Libero cerca di ironizzare a mezza bocca: «Domani vado in banca e li prelevo». Poi si fa serio: «Questo è un atto dovuto alla dichiarazione di insolvenza e al processo sanzionatorio di Banca d’Italia e risente della buriana mediatica scatenata dalla presenza di Boschi in cda.
La vicenda smaschera anche un certo clima di conflitto tra le massime istituzioni bancarie e la politica». L’oggetto della lettera è la «diffida e la messa in mora relativamente ai danni cagionati a Bpel e ai creditori sociali». L’incipit del professor Santoni è fulminante: «Egregi signori, come vi è noto, Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio (…) è stata posta in liquidazione coatta amministrativa (…) con decreto ministeriale del 9 dicembre 2015 e il Tribunale di Arezzo, con sentenza n. 12 dell’11 febbraio 2016, ne ha dichiarato l’insolvenza. Pertanto con la presente-valida a ogni effetto di legge anche a fini interruttivi della prescrizione- il sottoscritto, nella sua qualità di commissario liquidatore della Bpel, formula espressa richiesta di ristoro dei danni arrecati alla Bpel, nonché ai creditori sociali, a causa delle condotte illecite di mala gestio». A questo punto almeno metà dei destinatari sarà certamente finita al tappeto, svenuta. Ma chi è riuscito a procedere nella lettura non avrà retto al penultimo capoverso: «Da tali condotte è derivato un danno complessivo pari almeno a euro 300 milioni, salvo ogni miglior calcolo. In mancanza di corresponsione del suddetto risarcimento entro e non oltre il termine di 30 giorni dal ricevimento della presente, la Liquidazione si vedrà costretta a intraprendere le necessarie azioni legali». Tra queste vengono citate le «azioni revocatorie» nel caso siano stati compiuti «atti di disposizione del patrimonio in pregiudizio di Bpel in liqudazione coatta amministrativa e dei creditori sociali».
In pratica se qualcuno avesse avuto la brillante idea di spogliarsi dei propri beni e di inviare il ricavato alle Cayman, diciamo che troverà comunque Santoni a bussare a denari. Il quale avrà la possibilità, per esempio, di annullare eventuali recenti rogiti riguardanti proprietà immobiliari. Il commissario sottolinea che i destinatari dell’epistola «risultano aver concorso (…) nelle gravi irregolarità di gestione della Bpel». Di seguito elenca i loro «peccati», praticamente la fotocopia di quelli contestati in sede penale: «Erogazione e successiva gestione di mutui e finanziamenti anche in conflitto di interessi»; «il depauperamento del patrimonio sociale mediante numerose altre iniziative contrarie alla prudente gestione (in via esemplificativa e non esaustiva: conferimenti di incarichi consulenziali, rilevanti premi aziendali non dovuti e ulteriori operazioni non trasparenti)»; «le iniziative di indebito e illecito ostacolo alla vigilanza della Banca d’Italia».
Ovviamente i 37 «vincitori» della messa in mora attenderanno la scadenza dei termini, visto che in questi casi non vale il principio di solidarietà e nessuno vuole pagare per gli altri. Aspetteranno le azioni legali che dovranno individuare le singole responsabilità.