La Stampa, 23 marzo 2016
Lidia Macchi, un corpo riesumato in cerca del Dna dell’assassino
I magistrati della Procura di Milano cercano tracce di materiale biologico che abbia resistito tutto questo tempo. In particolare, qualche microscopica porzione di liquido seminale rimasta miracolosamente nella salma della studentessa uccisa a 21 anni. A effettuare le analisi sarà l’anatomopatologa Cristina Cattaneo, il super-perito ormai specializzato in «cold case», che si è occupata degli omicidi di Yara Gambirasio e di Elisa Claps. Tra l’altro alla Cattaneo è stata affidata anche la riesumazione, avvenuta anch’essa ieri, di Serena Mollicone, la diciottenne trovata senza vita nel 2001 in un boschetto in provincia di Frosinone.Nel corpo di Lidia potrebbe essere conservata la prova regina che può condannare definitivamente o scagionare Stefano Binda, che nel frattempo avrebbe già dato l’assenso al test del Dna. Sul materiale genetico si è consumato un pasticcio che ha impedito un concreto sviluppo investigativo verso l’identificazione del colpevole. Nel 2000, un anno dopo la trasmissione Blu Notte che indicava come soluzione al caso Macchi le nuove tecnologie di rilevazione del Dna, i 13 vetrini contenenti lo sperma ritrovato sul corpo della ragazza e pezzi insanguinati dei suoi vestiti andarono distrutti per ordine del gip Ottavio D’Agostino. Fu un errore irreparabile ma che è stato svelato solo di recente, quando l’inchiesta è stata tolta al pm di Varese Agostino Abate e avocata dal sostituto procuratore generale di Milano, Carmen Manfredda. Ma l’elenco dei misteri è ancora più lungo, perché ad andare persi furono anche la borsetta di Lidia e il sedile della Panda rossa della ragazza dove erano state prelevati frammenti di tessuto insanguinato: «La cosa che mi ha lasciato sconcertato, come cittadino prima ancora che come avvocato – spiega Daniele Pizzi, legale della famiglia Macchi – è stato scoprire che i reperti all’epoca sequestrati sono inspiegabilmente introvabili, come se si fossero persi chissà dove». Per la madre di Lidia, che ogni giorno guarda dalla finestra la tomba della figlia al cimitero di Casbeno, quello di ieri è stato «un dolore necessario: non avremmo voluto la riesumazione, ma non c’era alternativa visto che tutto è andato distrutto».
Le operazioni sono iniziate all’alba e sono durate fino alle 9. Le spoglie sono state poi trasportate all’Istituto di Medicina legale di Milano. Ci vorranno alcuni mesi per avere una risposta, quindi dopo il 29 aprile, giorno in cui la Cassazione deciderà sulla richiesta di scarcerazione di Binda, che continua a proclamarsi innocente, scegliendo di avvalersi della facoltà di non rispondere. Nel frattempo proseguono le ricerche sulla presunta arma del delitto: saranno analizzati 13 coltelli trovati nel parco Mantegazza, ancora posto sotto sequestro.
Alberto aveva 10 mesi quando sua sorella è morta. Ora, dopo l’ennesimo colpo di scena, quasi assuefatto al clamore mediatico, aspetta con dignità la risposta definitiva, qualunque essa sia e in un’intervista alla Stampa dice: «Non terrei in gabbia nessuno senza avere delle prove. Certo, ci siamo rimessi in gioco e abbiamo acconsentito alla riesumazione. Ma la nostra ragione di vita non è trovare l’assassino di Lidia».