Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  marzo 23 Mercoledì calendario

Così la Spagna è diventata più brava di noi a giocare a pallone

Come i bambini che segnano la propria altezza a matita sulla parete e misurano lo spazio che manca per accendere la luce da soli, ogni volta che l’Italia deve capire se è cresciuta lo domanda alla Spagna, il suo benchmark. Domani a Udine si gioca l’ottavo confronto in otto anni, il nono è già in calendario il 6 ottobre. Quando nel 2008 Donadoni uscì ai quarti europei contro Aragonés, ai rigori, sembrò una disfatta: poi, i sentieri diversi imboccati dalle due nazionali hanno finito per rivalutare il lavoro del ct di allora, tornato di moda oggi. E pure adesso che la Spagna è stata umiliata al Mondiale e non guida più la classifica Fifa, spaventa gli azzurri in vista delle qualificazioni a Russia 2018. Per la capacità del suo calcio di rinnovarsi e rinascere. Tre anni fa il Barça fu annientato dal Bayern, in due stagioni è tornato sul tetto d’Europa.
A livello di club, la distanza è siderale. La Spagna ne ha 6 ai quarti delle coppe e comanda il ranking Uefa, l’Italia è fuori da tutto. Real e Barça sono in testa alla Money League, la Juventus è l’unica italiana nella top ten. Ma sul piano federale, il gap economico non c’è. Nel 2014, la Rfef, la federcalcio spagnola, ha avuto entrate per circa 127 milioni (43,3 dagli sponsor: 17 l’anno da Adidas, che ha rinnovato fino al 2018). La Figc per 169, 42,2 milioni dagli sponsor, ma maggiori contributi statali prima dei tagli del Coni (68,9 milioni contro i 15,5 alla Rfef). La Spagna ha 70 centri federali territoriali, la metà di proprietà. L’Italia vuole aprirne 200 entro il 2020, ne sono attivi 5: spazi virtuali, più che fisici, ogni lunedì la Figc prende in affitto strutture esistenti per fare lavoro tecnico e fisico sui giovani locali. Il segreto della Spagna però è un altro. Nel 2010, su 23 campioni del mondo, 20 erano passati dalle seconde squadre: le formazioni riserve dei grandi club che giocano fuori classifica dalla B in giù. Palestra buona anche per gli allenatori, se è vero che Zidane si è trovato catapultato dal Castilla al Real Madrid, e si è portato dietro il figlio. In Italia, il campionato Primavera resta poco competitivo, lo scalino che porta in A è troppo alto per tanti. Paradossalmente, è la Nazionale che fa un favore ai club svezzando in azzurro giovani che in campionato non giocano mai. Come l’Italia, anche la Selección ha un ct in uscita, ma senza polemiche: Del Bosque lascerà dopo otto anni, in Italia hanno superato questa soglia solo Pozzo e Bearzot. Lui guadagna 2,5 milioni l’anno, Conte sfiora i 4,5. Il n. 1 della Rfef, Ángel María Villar, in carica dall’88 e pronto a ricandidarsi, percepisce 150mila euro, Tavecchio solo 13mila.
Rispetto al 2008, le due squadre hanno 5-6 giocatori ancora nel giro. La differenza l’ha fatta il ricambio. La Spagna ha detto addio nel tempo a Puyol, Xavi, Xabi Alonso, Villa, Torres, ha inserito Piqué, Busquets, Pedro, Thiago Alcántara, Isco, Koke. Ha due punti interrogativi, il portiere e il centravanti. De Gea ha superato ormai il suo idolo Casillas, che resta il capitano ma in Francia accetterà di fare il dodicesimo, o almeno questo ha detto a Del Bosque. L’altro nodo è il centravanti, in una squadra abituata anche a fare senza: Diego Costa, che i brasiliani considerano un traditore, si è integrato poco nella nuova patria (non convocato, dopo il morso a Barry dell’Everton). Morata gioca poco nella Juve. E allora a 35 anni riappare “Zorro” Aduriz, attaccante gigante dell’Athletic Bilbao, che in nazionale giocò solo una volta, sei anni fa. Forse, non se l’aspettava neppure lui.