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 2016  marzo 23 Mercoledì calendario

A Cuba Obama sfida Raúl Castro e incontra i prigionieri politici

Raúl Castro non vuole sentire. Quando Barack Obama nel suo discorso pubblico al Teatro Nazionale comincia a parlare di diritti umani, il presidente cubano nel palco d’onore si gira e comincia a chiacchierare col suo ministro degli Esteri che gli sta seduto a fianco. Un’ostentazione d’indifferenza. Ma un’ora dopo il leader comunista deve incassare un affronto. Il presidente degli Stati Uniti incontra una delegazione di dissidenti cubani, dentro la riaperta ambasciata Usa all’Avana.
Sono tredici i dissidenti elencati dalla diplomazia Usa. Tra questi c’è Berta Soler, leader dell’associazione Damas de Blanco, una delle più attive nel denunciare gli abusi contro le libertà. Ci sono Miriam Celaya Gonzeles, seduta alla destra di Obama, e Manuel Cuesta Morna alla sua sinistra. C’è Elizardo Sanchez della Comisiòn Cubana de Derechos Humanos, che ha appena rilasciato questa notizia: solo a gennaio e febbraio la polizia ha fatto 2.555 arresti politici. Smentisce quel che Raúl aveva detto il giorno prima: «Non ci sono prigionieri politici a Cuba, se siete capaci di darci una lista li liberiamo subito». Le liste sono note, ma naturalmente L’Avana le respinge con la scusa che si tratta di delinquenti comuni.
«Tutti voi che siete attorno a questo tavolo – dice Obama ai dissidenti in ambasciata – avete mostrato un coraggio straordinario. Avete osato parlare sui problemi che vi stanno più a cuore. Avete sollevato questioni di democrazia, libertà di parola, di religione e di manifestazione. Tra di voi ci sono persone che hanno subito l’arresto e la prigione, alcuni in passato, altri di recente. La nostra politica verso Cuba non è fatta solo dei miei incontri al vertice col presidente Castro, o delle relazioni tra i due governi. Molto dipende dalla possibilità di ascoltare direttamente il popolo cubano, di garantire che siate ascoltati. È importante che le vostre preoccupazioni e le vostre idee ci aiutino a orientare la politica degli Stati Uniti. Vi ringrazio di essere venuti qui, ci vuole coraggio per impegnarsi attivamente nella vita civile qui a Cuba. Su questo terreno continuano ad esserci profonde differenze tra noi e il governo cubano. La mia speranza è che, a furia di ascoltarvi, noi possiamo precisare meglio le nostre azioni, in modo che alla fine il popolo cubano sia capace di vivere nella libertà e nel benessere».
La visita di Obama non è stata quindi segnata solo da realpolitik. Smentendo chi lo accusava di essere venuto qui a rafforzare il regime castrista, Obama è attento a mantenere due livelli di comunicazione: uno col governo, perché da lì passa la normalizzazione delle relazioni dopo 55 anni di rottura diplomatica, e perché «l’embargo non ha funzionato». Ma l’altro è il dialogo con la società civile, inclusa quella parte della popolazione che pur non avendo scelto la via dell’esilio si sente a disagio nelle restrizioni alla libertà e nel sistema economico dirigista.
Con Cuba gli Stati Uniti riescono a far pesare un rapporto di forze che è ben diverso da quello con la Cina. La scena del presidente americano che invita i dissidenti e dialoga con loro sarebbe inimmaginabile in occasione dei summit a Pechino. Xi Jinping non accetterebbe quello che Raúl Castro è stato costretto a “subire” nella sua capitale.L’altro messaggio è per la destra americana che ha denunciato questo storico viaggio come un “cedimento”. Incontrando gli esponenti del dissenso Obama ha dimostrato che il dialogo col regime non esclude le critiche; forse dà più spazio di manovra per allargare l’influenza ideale degli Stati Uniti sull’isola.
Obama incalza la destra, maggioritaria al Congresso di Washington, perché tolga al regime l’alibi dell’embargo, un dispositivo che crea sofferenze al popolo cubano e consente anche alla propaganda castrista di distogliere le responsabilità dai suoi fallimenti nell’economia. «Noi negli Stati Uniti – dice Obama – abbiamo un monumento che celebra ciò che i cubani sanno fare. Si chiama Miami». Sottolineando l’imprenditorialità della diaspora, il messaggio a Castro è: non avere paura del tuo popolo, lascialo libero di sprigionare il suo talento e la sua creatività.