La Gazzetta dello Sport, 23 marzo 2016
Il massacro è cominciato ieri mattina alle otto, per tutta la giornata siamo stati bombardati dai tg, dagli speciali, dalle interviste, mettici i siti internet, non so che altro potremmo dire

Il massacro è cominciato ieri mattina alle otto, per tutta la giornata siamo stati bombardati dai tg, dagli speciali, dalle interviste, mettici i siti internet, non so che altro potremmo dire. Giustamente Gazzetta ha ricostruito, in queste stesse pagine, la tragedia di ieri minuto per minuto.
• Potremmo dire, per esempio, se c’è un rapporto tra gli attentati di ieri, rivendicati dall’Isis, e l’arresto di Salah dell’altro giorno.
L’opinione più diffusa è che Salah stesse per parlare e che le cellule siano entrate in azione prima di essere smascherate. A proposito di cellule: un problema è se gli attentatori di ieri siano un residuo della vecchia rete del Bataclan o se questi siano nuovi combattenti, adepti di un’altra microstruttura. La cellula del Bataclan era piccola, un massimo di 30 persone di cui 18 attive. Se si trattasse di una nuova rete, collegata alla Siria, sarebbe parecchio preoccupante.
• La seconda questione riguarda il Belgio. Che cos’ha il Belgio di speciale per essere diventato una sorta di repubblica islamica radicale europea?
Non solo il Belgio, ma anche la Francia. Questi due paesi hanno strutture urbane simili, vale a dire hanno creato periferie nelle quali si sono accumulate comunità di islamici, molti dei quali arrabbiati. Questa separatezza in casa è la premessa per quello che abbiamo visto ancora ieri e il 13 novembre. Molenbeek, il quartiere da cui viene Salah, è una città di 90 mila abitanti con 22 moschee che sta a 16 minuti dal centro della capitale. Sedici minuti a piedi, voglio dire. Questa comunità ha protetto Salah per quattro mesi, senza che vi fosse uno solo dei musulmani locali capace di fare un gesto molto importante, in questa situazione, cioè andare a denunciare il latitante. Dopo l’arresto i giovani di Molenbeek si sono messi a sfottere i poliziotti, a tirargli bottiglie. Ieri, le grida di giubilo di una quantità di siti si sono sprecate. Basta ripercorrere la storia del Belgio degli ultimi anni per capire che quel Paese è una bomba atomica piazzata nel ventre d’Europa. Citiamo dal Post: «Il Belgio è il paese che in Europa fornisce in proporzione più combattenti al jihad. Nel 2005 la prima donna europea a compiere un attentato suicida fu una belga di Charleroi, convertita all’Islam: attaccò un convoglio statunitense in Iraq. Nel 2008 fu scoperta e smantellata un’organizzazione – “Sharia4Belgium” – che reclutava giovani belgi musulmani per mandarli nei campi di addestramento di al Qaida. Diversi esperti ritengono che proprio “Sharia4Belgium” abbia avuto una grossa influenza nella diffusione dell’estremismo islamico in Belgio». A questo aggiungiamo la cellula di Verviers scoperta un anno fa, il massacro al museo ebraico di Bruxelles (autore un francese tornato dalla Siria) del 2014, la strage di Liegi del 2011, e tutta una serie di altri attacchi negli anni Ottanta che ha ben riassunto Le Monde. I terroristi che due giorni prima dell’11/9 uccisero Massoud in Afghanistan erano partiti da Molenbeek. E aveva comprato le armi a Molenbeek anche Amedy Coulibaly, l’uomo che uccise quattro ostaggi al supermercato dopo Charlie Hebdo.
• In tutto questo tempo, il governo belga non è venuto a capo del suo terrorismo?
Il sistema belga è di rara inefficienza. Intanto il Paese è diviso in due tra fiamminghi e valloni, e le due comunità si parlano e si capiscono poco, le polizie dell’uno non collaborano con le polizie dell’altro. Il sistema politico è frammentato, una volta una crisi di governo è durata più di cinquecento giorni, le megacoalizioni che si formano preferiscono demandare la soluzione dei problemi alle realtà locali, a loro volta molto spezzettate. Bruxelles ha 19 sindaci e 6 dipartimenti di polizia. Non occorre dirle che si pestano i piedi uno con l’altro. Dopo il 13/11 non fecero irruzione nella casa dove stava Salah perché dalle 21 alle 5 del mattino sono vietate le irruzioni nelle abitazioni private. È vero che è quasi impossibile prevenire l’azione di uno shahid
, però l’aereoporto di Zaventem era del tutto incustodito. Sugli aeroporti sarebbe bene fare una riflessione e adottare le misure di Delhi: non si entra senza mostrare biglietto e passaporto. Non è più tempo di lasciar circolare liberamente la gente fino al check-in.
• Tutti dicono che non possiamo cedere neanche un grammo della nostra libertà senza darla vinta a questi pazzi.
L’esempio del Belgio mostra che non si può affrontare questo tipo di terrorismo senza una forte centralizzazione del comando. Prima di tutto, andrebbero centralizzati e coordinati i servizi segreti. Che si scambiassero informazioni, che agissero di conserva. Ma, purtroppo, questa sembra un’utopia: dopo il Bataclan, Hollande chiese la massima solidarietà, e la ebbe. Però quando si trattò di discutere l’alleanza tra i servizi, subito si tirò indietro. I francesi collaborano meglio con gli americani che con gli europei.
• Siamo in guerra o no?
Io penso che siamo in guerra. Ma capisco che, se se ne prendesse atto ufficialmente, si dovrebbero adottare misure che alla maggioranza degli europei risulterebbero ancora inconcepibili.