Il Sole 24 Ore, 22 marzo 2016
Come preservare l’italianità di Telecom
Preservare l’italianità di Telecom è un enunciato che suona privo di contenuti. A vent’anni dalla privatizzazione i tentativi di mantenere il controllo in mani italiane hanno prodotto l’unico risultato di mortificare l’azienda, ridimensionandola nel perimetro e nelle aspirazioni, e di consegnarla ai francesi di Vivendi che, per conquistare il ruolo di azionista di riferimento (del tutto giustificato col 24,9%), non hanno nemmeno dovuto pagare un premio.
Telecom non ha più le dimensioni per poter essere una public compay. Lo Stato, che non ha conservato neppure un’azione, non ha titolo per intervenire in un’azienda privata. Tanto più che Vivendi è un soggetto comunitario, verso il quale non potrebbe essere utilizzato il golden power.
Se non ci sono gli estremi giuridici per obbligare Telecom a cedere parti essenziali del suo core business, “forzare” in qualche modo lo scorporo della rete nazionale o quella internazionale di Sparkle neppure sembra sensato. Sarebbe come espiantare un organo vitale e pretendere che nè corpo nè organo ne risentano. Lo scenario dietrologico di un “Frankenstein” della rete che prenderebbe vita innestando sull’iniziativa Enel nella fibra Metroweb e i relativi asset di Telecom presenta non pochi rischi. Non solo di carattere tecnologico, perchè l’esperimento elettrico deve ancora essere testato sul campo, ma anche perchè per arrivarci – in modo ovviamente non consensuale – occorrerebbe mettere in conto una battaglia infrastrutturale tra incumbent e sfidante che produrrebbe una copertura schizofrenica del territorio. Con le aree più promettenti che si trovrebbero ad avere un eccesso di offerta infrastrutturale – mettendo a rischio l’economicità degli investimenti degli stessi offerenti – e altre aree, magari quelle “grigie” dove non è previsto l’intervento pubblico diretto, che si troverebbero a essere ancora sguarnite.
E tuttavia è difficile sostenere che le tlc non siano un settore strategico per un Paese. Lo sono ovunque, anche dove sono private come in Spagna. Cdp, evocata tutte le volte che c’è un problema che i privati non sono in grado di risolvere, non ha le risorse per contrastare l’avanzata del capitale straniero nell’incumbent tricolore. Ma non è questo il punto. Lasciamo perdere – ormai è acqua passata – che la Cassa avrebbe potuto acquisire con un paio di miliardi una partecipazione di tutto rispetto, quando il titolo era precipitato poco sopra i 40 centesimi nell’estate di tre anni. Lasciamo perdere che, quando il precedente ceo Franco Bernabè era arrivato addirittura ad avviare un percorso di scorporo della rete, era stata prospettata anche la possibilità di opzionare uno scambio a termine tra una partecipazione nell’ipotizzata società della rete e una quota nel capitale della capogruppo. Oggi l’ennesimo ricambio al vertice ha lasciato appeso all’incertezza l’annoso dossier Metroweb che, industrialmente, ha sempre guardato a Telecom come partner naturale. Metroweb è partecipata da F2i e dalla Cdp (tramite il Fondo strategico), quest’ultima (almeno, nell’autunno scorso) non contraria a mettere sul piatto la sua partecipazione anche per uno scambio azionario con l’incumbent. Non ne deriverebbe certo una quota di riferimento, e tanto meno di controllo, ma una presenza quasi simbolica che però avrebbe il merito di dare voce nell’azionariato anche a istanze non solo privatistiche. Tanto più che, se dovesse partire un consolidamento del settore tra incumbent europei, sarebbe paradossale che l’Italia – una volta al top nel settore a livello mondiale – dovesse essere rappresentata da un’entità francese che, sia privata sia pubblica, avrebbe senz’altro altre priorità che quelle di salvaguardare l’italianità dell’incumbent tricolore.
Telecom d’altra parte è soffocata dal debito. Ripagarlo facendo a pezzi il gruppo non è il modo migliore per assicurarsi un futuro. La soluzione più logica – e più rispettosa di tutti gli interessi in campo – sarebbe quella di promuovere finalmente l’aumento di capitale di cui la società ha bisogno, per investire senza remore e per non perdere tutte le occasioni di sviluppo, nell’ambito di un conferimento di Metroweb (le problematiche Antitrust dovrebbero essere ragionevolmente affrontate con le regole) che, da una parte, assicurerebbe un minimo presidio istituzionale e, dall’altra, dimostrerebbe, con i fatti e non solo a parole, che il gruppo presieduto da Vincent Bolloré ha davvero intenzione di scommettere sull’Italia.