il Fatto Quotidiano, 22 marzo 2016
Quei leader condannati all’immortalità
Elisabetta e Fìdel, i più longevi governanti della storia contemporanea, sono testimonial, seppur opposti, del partito dei “mai morti”. La prima regna brillantemente sulla Gran Bretagna: la sua nuvola di capelli bianchi, un leggero filo di rossetto, gli immancabili orecchini di perle e gli abiti di una elegante 89enne che ha seppellito mode rimanendo sempre fedele al suo stile.
La sovrana del Regno Unito pare continuare a sprizzare vitalità dopo 63 anni di potere. Un po’ meno il coetaneo Fìdel Alejandro Castro Ruz, “condottiero supremo di Cuba”: simbolo della rivoluzione comunista, il dittatore dell’Avana immortalato con lo sguardo fisso, spesso con le spalle appese nella tuta (regolarmente di marca Adidas) tanto effetto casa di riposo. Nonostante le cure ricevute e fantomatici beveroni vitaminici, il Líder máximo ha seppellito lo sguardo del conquistatore.
Prima ancora ci fu la serie dei leader sovietici mummificati e sostituiti uno dopo l’altro, impersonificazioni di un impero agli sgoccioli. Passò alla storia il raffreddore dal quale non si riprese Yuri Andropov, ex capo del Kgb. La banale sindrome influenzale fu l’ultima notizia ufficiale diffusa prima dell’annuncio della morte avvenuta il 9 febbraio 1984. Evghenij Chazov, cardiologo che per 20 anni fu medico del Politburo, raccontò i segreti dei potenti che non potevano morire, narrando di faide sanitarie: “Dopo il 1976 Breznev riusciva solo a firmare. Fino al 1982, anno della morte, la superpotenza sovietica venne retta da una mummia.
Per giunta tossicomane. Breznev era dipendente da sonniferi, sedativi, ansiolitici, che si faceva passare di nascosto da un’infermiera. Breznev fu convinto dai vertici del partito a firmare l’invasione dell’Afghanistan: non era capace di concentrarsi su un argomento per più di 10 minuti. Non lo sostituivano per non scatenare una lotta al vertice destabilizzante per l’Urss. Meglio tenersi lo zombie, costruendo un mini-ospedale sotto le tribune del mausoleo di Lenin, in caso di malore durante le parate sulla Piazza Rossa”.
Il mito deve rimanere in piedi, costi quel che costi, nonostante menti offuscate, visi gonfi per le medicine e alterati da trucchi scenici garanti di un’immagine che tranquillizzi. Simboli del potere di cui vengono occultate le condizioni di salute per ragion di stato, lunghe malattie che le note ufficiali descrivono come semplici raffreddori. In un passato recente il presidente del Venezuela Hugo Rafael Chávez Fríasdisteso nel letto con il viso che sembrava di cera è stato il presidente “virtual” fino alla sua morte il 5 marzo 2013: comunicava solo via Twitter comparendo nelle immagini che venivano diffuse per mantenere il suo ruolo. A Chávez che si era fatto curare proprio nella Cuba di Fìdel, non era permesso morire per timore di quei cambiamenti negli equilibri politici dell’America del Sud. Negli anni ’90 la lunga malattia di Deng Xiaoping rimase tabù per preservare intatto il carisma del leader del partito comunista cinese fautore dell’apertura politica di Pechino.
E poi c’è Karol Jòzef Wojtyla, primo Papa non italiano dopo 455 anni e primo pontefice slavo della storia. Le cronache raccontano che un giorno rivolgendosi al suo medico personale disse di “trovare spiacevole camminare sapendo di dare spettacolo”. Poi quelle ultime parole – nell’aprile 2005 – raccolte da chi era al suo capezzale e che fecero il giro del mondo: “Lasciatemi andare”.