Corriere della Sera, 22 marzo 2016
Conte spiega perché se ne va dalla Nazionale
È sempre stato martello ma adesso si sente incudine. Ha sempre corso come un matto ma adesso soffre se deve stare parcheggiato in garage, anche se è quello azzurro. Antonio Conte spiega perché ha deciso di non essere più commissario tecnico dopo l’Europeo di Francia, ma da vecchio mediano chiude tutti i varchi sul suo futuro. «Dire la parola Chelsea non è tabù», ma finché l’ufficialità non arriverà dalla società di Roman Abramovich (bisognerà comunque aspettare poco, giusto il tempo di giocare le due amichevoli con Spagna e Germania e subito dopo arriverà la firma del contratto) è meglio buttare la palla in tribuna, tra sorrisi d’imbarazzo, dribbling stucchevoli alle domande che arrivano dalla stampa inglese e speranze puntualmente disilluse.
Tutto ruota attorno al c.t. che se ne va. Ma se le tinte d’azzurro che interessano sono soprattutto quelle Blues, non si fa un grande servizio a una Nazionale che in cinque giorni affronta Spagna e Germania e perde i pezzi: dopo Immobile infortunato nel derby, tornano a casa anche Verratti e Barzagli (c’è Rugani). Per la prima volta l’Italia si avvicina a una grande competizione con un c.t. in uscita ed è lecito chiedersi se possa risentire di questa situazione. Ed ecco che Conte, almeno per un attimo, torna all’attacco per respingere i dubbi: «Io sono il Generale: perché uno lo è sempre o non lo è mai».
Dietro la collina di Coverciano, quindi non c’è solo un garage. Ma anche quel «condottiero» voluto dal presidente Tavecchio in un momento difficile, sia per l’Italia reduce dal mondiale brasiliano, che per lo stesso Conte che si era da poco separato in modo traumatico dalla Juventus: «Mi era stata chiesta correttezza sotto tutti i punti di vista, dato che il contratto sarebbe scaduto a fine torneo – argomenta il c.t. —. Quando sono stato sicuro al 100 per cento di quello che sentivo dentro l’ho comunicato al presidente che mi ha voluto. L’Inghilterra? In questo momento non mi seduce niente e non mi deve interessare niente, perché sono in veste di c.t. E sono ben lieto di esserlo. È un’esperienza fantastica, che mi ha completato e mi rimarrà dentro tutta la vita: ho sempre invidiato gli allenatori che hanno rappresentato l’Italia nelle manifestazioni importanti. Adesso tocca a me».
Per un allenatore in carriera il richiamo del lavoro in un club però resta irresistibile. Meglio se straniero: «Ma non è un addio al calcio italiano. La verità è che devi capire quando sei incudine e quando sei martello. E il c.t. è incudine: lo era Prandelli prima di me e lo sarà chi viene dopo. E poi, dopo le qualificazioni, non mi è piaciuto rimanere così a lungo parcheggiato dentro un garage: lì dentro senti il profumo dell’olio del motore e delle gomme, ma non dell’erba. Quattro mesi senza fare niente sono stati durissimi, altri due anni così non avrei potuto farli. E ho informato subito Tavecchio, con grande trasparenza. Non ho mai nascosto di voler tentare un’esperienza all’estero. Si tratta di vedere se succederà adesso o in seguito. Dire Chelsea non è un tabù, ma potrei ricominciare anche da una squadra italiana».
Meglio pensare alla squadra degli italiani. Verratti continua le terapie anti-pubalgia a Parigi. Barzagli invece ha un problema muscolare: «Sulla carta ci sono squadre più forti di noi verso l’Europeo – sottolinea Conte – ma sappiamo che con il lavoro possiamo colmare il gap. Con la Spagna sarà un test molto significativo: mi interessa vedere come siamo messi, anche se in cuor mio speravo di avere tutti a disposizione». La forbice tra aspettative e realtà, questo sembra il vero problema. Ancora per tre mesi. Magari anche qualche giorno in più.