Corriere della Sera, 22 marzo 2016
A colloquio con Quasimodo tra letteratura, moda, telequiz, mafie e tradizioni
«La fiera letteraria» del 1962 ripubblica Sera d’estate, versi di Salvatore Quasimodo, usciti nel 1917 su «L’Italia futurista» a Firenze. «Ricordo che una sera d’estate del 1917, io stavo seduto con alcuni amici, fra i quali Salvatore Pugliatti e Giorgio La Pira, e in uno degli intervalli dell’orchestrina composta da donne, avevo scritto, per vincere la noia, su un pezzo di carta da gelati, la composizione futurista. Era un gioco lirico, s’intende». Fotografata negli archivi di una biblioteca tedesca, la poesia arriva nella redazione de «La Fiera» che, appunto, decide di ristamparla 45 anni dopo.
Il brano fa parte de Il falso e il vero verde, che raccoglie – a cura di Carlangelo Mauro (Biblioteca di Sinestesie, pp. 440, e 25), prefazione di Giuseppe Rando e interventi di Elena Candela, Alessandro Quasimodo e Sergio Mastroeni – gli 846 articoli di Quasimodo usciti sul settimanale «Le Ore» dal febbraio 1960 al gennaio 1964. Il titolo riprende quello di una raccolta di 14 liriche (1956) del poeta, che l’anno prima ha avuto il Nobel.
Sono colloqui con i lettori in cui Quasimodo affronta temi di attualità: letteratura, moda, cambiamenti politici, telequiz, mafie, visite di poeti stranieri in Italia, tradizioni, musica, arte, censura, Guerra fredda, Concili, storie di bambini, ecc. Ma anche flash back del «tempo che fu». E, fra questi, il ricordo degli amici Pugliatti e La Pira (il «sindaco santo» di Firenze). Dal 1915 al 1917, tutti e tre (hanno solo uno-due anni di differenza d’età) studiano all’Istituto tecnico Jaci di Messina. La Pira e Pugliatti prendono il diploma di ragionieri; Quasimodo, di geometra. Nella Messina dopo terremoto, marciano parallelamente. Affascinati da d’Annunzio e da Marinetti, fondano il «Nuovo giornale letterario», venduto nel tabacchino dello zio di La Pira. Quasimodo scrive i primi versi su un quaderno («Poeta quasi-a-modo», lo canzonano affettuosamente gli altri due). Da privatisti, La Pira e Pugliatti prendono la maturità classica e si iscrivono in Giurisprudenza: diventeranno docenti universitari (rispettivamente di Diritto romano, a 30 anni, e di Diritto civile, a 28). La letteratura va di pari passo. Pugliatti scrive racconti e saggi (il primo, su Quasimodo, esce su «Solaria»), ma si occupa anche di musica. Non possedendo un pianoforte, si ritaglia una tastiera di cartone e la incolla su un tavolo «per fare le scale senza suoni». Quando riesce a suonare, in casa di amici, le note diventano fiori («Un vero uomo del Rinascimento, multicorde», lo definirà Arturo Carlo Jemolo).
Poi il trio si divide. Quasimodo va a Reggio, Roma, Sardegna, Milano, Sondrio. La Pira raggiunge Firenze, diventa terziario domenicano e francescano, esprime la sua vocazione sociale con l’impegno politico assieme a Dossetti, Fanfani e Lazzati. Ma il rapporto con Quasimodo non conosce interruzioni. «Un capitolo importante – ricorderà Carlo Bo sul Corriere nel 1997 —. Quel tanto di religioso di certe poesie anni Trenta (...) ha la sua origine, la sua ispirazione nel mistico La Pira».
Pugliatti, invece, preferisce restare a Messina, rivoluzionare l’Ateneo: da preside di facoltà (23 anni), ma soprattutto da rettore (18 anni). Il primo ad andarsene è Quasimodo, nel 1968. Nel 1976, Pugliatti; e l’anno dopo La Pira. «Salgo vertici aerei precipizi,/ assorto al vento dei pini,/ e la brigata che lieve m’accompagna/ s’allontana nell’aria», aveva scritto in Vento a Tindari Quasimodo. Della «brigata» facevano parte anche Pugliatti («soave amico mi desta») e La Pira. S’allontanano nell’aria.