la Repubblica, 22 marzo 2016
Traditori, non combattenti islamici
Mi fa notare un amico che la definizione più calzante eppure mai utilizzata, per i francesi, i belgi, i tedeschi, gli europei che abbracciano il terrorismo jihadista, è quella di traditori. Traditori delle patrie che li hanno visti nascere, li hanno cresciuti e fatti studiare, traditori delle loro scuole e dei loro insegnanti, delle loro città, dei loro quartieri e (spesso) delle loro famiglie, delle Costituzioni e delle leggi che hanno garantito loro libertà di espressione, di movimento, di cultura. Nessuna di queste leggi, nessuna delle scuole che hanno frequentato, nessuna delle forme culturali e associative a loro disposizione ha mai avuto lo scopo di impedire o soffocare una loro scelta religiosa, islamica o di qualunque altro tipo. Non reagiscono, dunque, a una persecuzione o a un divieto. Semplicemente tradiscono, con odio e violenza puramente imputabili a loro, la libertà che li ha cresciuti, la comunità plurale e tollerante che li ha ospitati. Questa qualità di traditori li rende particolarmente odiosi. Sconsiglia la dicitura di “combattenti islamici”, che ha qualcosa di aperto, di dichiarato e perfino di nobile. Il tradimento si cova nell’ombra, nel rancore e nell’equivoco, e appunto a tradimento si svela. Alto tradimento è l’imputazione con la quale la Francia e l’intera Europa dovrebbero processare quelli come Salah Abdeslam.