Il Messaggero, 20 marzo 2016
Cronaca del funerale di Luca Varani
Sono mani consumate dal lavoro quelle di mamma Silvana. Intrecciate, per quasi tutta la durata della cerimonia funebre a quelle di Cinzia, una delle zie di Luca Varani. Il dolore è composto nella chiesa di Santa Gemma Galvani, dove ieri è stato dato l’ultimo saluto a quel giovane di soli 23 anni barbaramente ucciso, la notte del 4 marzo scorso, in un appartamento di via Igino Giordani.
Si contengono le lacrime. E non perché non ce ne siano da versare, ma per dignità. La stessa dignità che papà Giuseppe ha mostrato, molto prima delle otto del mattino, arrivando ieri alla camera ardente, allestita all’obitorio del policlinico Umberto I, per dare l’ultimo saluto al figlio. Durante il rito è seduto accanto alla moglie. Le braccia conserte e lo sguardo rivolto a quel feretro, coperto di rose e gerbere bianche, che accoglie il corpo di Luca. «Nessuno mi potrà mai ridare mio figlio, quando è arrivato nella nostra casa ci ha riempito la vita, come colmeremo la sua assenza?», ha detto mamma Silvana a don Ben, il parroco della chiesa Santi Elisabetta e Zaccaria che ieri ha celebrato il funerale del giovane. Matura la consapevolezza della realtà ma restano i perché, per cercare di comprendere come mai «la vita di Luca sia stata interrotta – ha detto il sacerdote – in questo modo crudele». «Perché Signore – chiede don Ben durante l’omelia – non sei intervenuto per fermare quelle mani? Dio accoglie non decide chi deve morire».
SENZA CLAMORE
«Sappiamo che la giustizia divina – ha concluso il sacerdote – non ci deluderà ma auguriamo e desideriamo che si compia anche la giustizia umana». Sul pulpito sale solo un ex professore di Luca, Davide Toffoli. «La violenza mi fa schifo, è la cosa più squallida e inaccettabile della faccia della terra – ha detto il docente dell’Itis Einstein – è inaccettabile chi semina morte, chi confonde la vittima con il carnefice».
La chiesa nel quartiere Casalotti è gremita. Ci sono i compagni di scuola di Luca, gli amici di sempre. C’è Marta Gaia, l’amore della sua vita, che legge un passo delle beatitudini evangeliche. Vorrebbe piangere, ma fa un lungo respiro e manda indietro le lacrime. Ci sono i fiori sul sagrato, i conoscenti della famiglia Varani e anche semplici cittadini accorsi per salutare quel giovane, ucciso e lasciato poi morire dissanguato sotto un piumone, mentre i suoi due aguzzini si addormentavano storditi dall’alcol e dalle droghe.
La famiglia resta in disparte, chiusa in un dolore composto. Non vuole clamore. Tanto che sui portoni di Santa Gemma Galvani troneggiavano dei manifesti: per espressa volontà della famiglia Varani è vietato l’ingresso in chiesa a giornalisti, fotografi e videoperatori.
L’INDIGNAZIONE DELLA GENTE
Tuttavia, se a scandire il funerale è stata la compostezza, fuori dalla chiesa esplode l’ira e l’indignazione. Ed è proprio la giustizia, la stessa auspicata dal sacerdote durante l’omelia, quella che invocano in tanti. Il feretro di Luca esce tra gli applausi, Mamma Silvana e papà Giuseppe lo seguono fino all’ultimo. Riservano abbracci di gratitudine per tutti. In aria si alzano una dozzina di palloncini bianchi ma le voci ritmano una sola parola: «giustizia». Parola che riassume il desiderio di parenti e amici di non oltraggiare ancor di più la figura di Luca Varani, un giovane come tanti, che amava la sua ragazza e che aveva lasciato la scuola per lavorare e aiutare papà Giuseppe. Si chiede, anzi si pretende, una giusta punizione per quei due uomini – Manuel Foffo e Marco Prato – non più ragazzi, che una notte, durante un festino a base di alcol e droga, hanno giocato a fare Dio solo per vedere «l’effetto che fa».