La Lettura, 20 marzo 2016
Le spose bambine che muoiono dissanguate per le ferite interne dopo la prima notte di nozze. Succede nello Yemen
«Quando i sauditi hanno iniziato a bombardare Sana’a stavamo lavorando a un progetto di legge per vietare il matrimonio delle bambine ma, giorno dopo giorno, la guerra ha preso il sopravvento mettendo in secondo piano i diritti delle donne e dei minori». Cinquant’anni, la regista yemenita Khadija al-Salami vive a Parigi. Nel 2014 era rientrata in Yemen per girare il film Mi chiamo Nojoom, ho 10 anni e voglio il divorzio. Racconta la storia (vera) di una sposa bambina che nel 2008 riesce a convincere il giudice a sciogliere il matrimonio, avvenuto tre settimane prima, con un uomo di trent’anni che aveva pagato una somma di denaro per averla. Per tutti si tratta di un accordo legittimo e soddisfacente, tranne che per Nojoom che vedrà presto la sua vita volgere al peggio.
«In un Paese in cui il 65 per cento degli uomini e il 75 per cento delle donne non sa leggere né scrivere, le immagini hanno il potere di rompere le barriere dell’analfabetismo: per questo il mio lungometraggio avrebbe potuto convincere a promulgare la legge per vietare il matrimonio prima dei diciotto anni, un fenomeno che – nel mondo – colpisce 13 bambine ogni 30 secondi», aggiunge la regista. Previste per marzo 2015 in diverse città yemenite, le proiezioni del suo film sono state però annullate a causa dei bombardamenti.
Già lo sapete, il 26 marzo ricorre il primo anniversario della guerra che in Yemen ha causato oltre seimila morti (la metà sono civili) e 2,4 milioni di sfollati. Nove Paesi guidati dall’Arabia Saudita bombardano lo Yemen con la complicità di un certo Occidente (tra i primi gli Stati Uniti) che continua a vendere armi alle monarchie arabe del Golfo in cambio di petrodollari. Non esitano a colpire i quartieri residenziali, gli ospedali, le scuole. Compreso l’asilo al-Shaila della Yemeni Women Association finanziata dall’Abi (l’Associazione bancaria italiana), fatto esplodere causando la morte di venti bambini. Bombardamenti che prendono di mira i civili. Crimini di guerra.
In Yemen il 52 per cento delle ragazze viene fatta sposare prima dei 18 anni e il 14 per cento prima dei quindici. Soltanto il 27 per cento delle donne in età fertile ha accesso a contraccettivi, solo il 35 per cento partorisce con l’aiuto di un’ostetrica e in media ognuna ha quattro figli. La storia di Nojoom, protagonista del film mostrato alle Nazioni Unite e presto anche nelle sale italiane (a fine aprile), è anche quella di Khadija: «La mia famiglia mi ha dato sposa quando avevo otto anni, autorizzando quello che si rivelò uno stupro. Mia madre aveva vissuto lo stesso trauma, ma non aveva gli strumenti culturali per impedire che quell’orrore fosse rivissuto dalla figlia. Tentai di chiedere aiuto alla nonna ma, per quanto mi amasse, fu irremovibile: il destino di una donna è sposarsi, oppure finire sottoterra!».
A undici anni Khadija al-Salami divorzia, si iscrive a scuola e intanto lavora in una televisione yemenita, dove conduce un programma per bambini. Con lo stipendio mantiene la madre (divorziata). Dopo qualche anno vince una borsa di studio e si trasferisce negli Stati Uniti per frequentare il liceo. I diritti delle bambine sono diventati la sua battaglia ma, affinché sia promulgata la legge per vietare i matrimoni precoci, bisognerà aspettare la fine della guerra. Intanto il film è andato in onda su un canale satellitare in arabo, lo avranno visto in tanti.
Ad avanzare la proposta di legge che avrebbe vietato il matrimonio al di sotto dei diciotto anni era stato il governo transitorio nell’aprile 2014, dopo la primavera yemenita che aveva portato al passaggio di poteri dal presidente Ali Abdullah Saleh (accusato di corruzione, a quell’epoca sostenuto dai sauditi mentre oggi è alleato degli houthi) al suo vice Hadi Mansour (oggi è quest’ultimo a godere del sostegno di Riad). Le altre proposte, in linea con le convenzioni internazionali ma in stand-by a causa del conflitto, riguardavano il diritto della divorziata a mantenere l’abitazione dove vive con i figli, l’istruzione e le cure sanitarie, il diritto delle donne a occupare il 30 per cento delle cariche istituzionali e la norma che considera reato la violenza domestica. Proposte di cui si era fatta portavoce anche l’attivista Tawakkol Karman, vincitrice nel 2011 del premio Nobel per la pace.
Trentasette anni, membro del partito al-Islah (declinazione yemenita dei Fratelli musulmani), alla domanda se avessero previsto di abolire la poligamia risponde: «Le priorità sono altre». Perché in un Paese povero come lo Yemen a permettersi una seconda moglie sono pochi benestanti, laureati a Londra e Manchester. Alla povertà si è aggiunta la guerra: bisognerà aspettare la fine dei bombardamenti prima di riparlare dei diritti delle bambine che muoiono dissanguate per le ferite interne dopo la prima notte di nozze.