La Stampa, 20 marzo 2016
L’uomo che sussurrava ai cavalli esiste davvero. Vive a Carpeneto, sulle colline del Monferrato
«Se entrega». Gustavo Daniel Prosperi lo dice con l’accento argentino guardando il cavallo, finalmente domo, negli occhi. «È la mia parola d’ordine, un verbo spagnolo: vuol dire che si è lasciato andare, che ha completamente fiducia».
L’uomo che sussurrava ai cavalli esiste davvero, è un cowboy originario di Buenos Aires, sembra uscito dalla penna di Nicholas Evans, cappello da Tex Willer, e un corpo segnato dagli incidenti sul lavoro: «Ho 2 vertebre rotte, 3 ernie del disco, naso fratturato». Venire disarcionati non è uno scherzo. Si è trasferito a Carpeneto, sulle colline del Monferrato, nel 1990 dopo aver rischiato l’ammaraggio con un C130 pieno di stalloni e gauchos: «Li importavamo dall’Argentina: una volta sull’oceano si è rotto un motore dell’aereo e il pilota ci disse: “o torniamo in Messico per ripararlo ma i cavalli moriranno, oppure proviamo a proseguire con il pericolo di finire in acqua”». La scamparono, grazie a un atterraggio d’emergenza, ma Gustavo decise di fermarsi nel Paese del nonno, che era nato a Recanati, e non viaggiare più.
Oggi ha 59 anni ed è in sella da quando ne aveva 3: «Ho trattato oltre mille cavalli», da domare o con disturbi del comportamento. Una casistica in crescita per colpa, dice, di addestratori poco professionisti: «Hanno fretta di far saltare il cavallo, ma lo forzano, è lui invece che deve dettare i tempi e gareggiare solo quando è pronto, psicologicamente e muscolarmente». Altrimenti alla prima caduta può bloccarsi: «Me li portano ormai ingestibili, terrorizzati, arrabbiati». Il peggio è quando s’impennano. «Ci vuole anche un anno perché superino il trauma». Qualcuno, nel maneggio di Gustavo e della moglie Andrea Fredi – il San Marco Riding – alla fine ci resta per sempre. Come Luke, appaloosa bianca di 33 anni, colpita da una malattia rara, in gergo «il mal della luna», che l’ha resa cieca. Nel suo stesso recinto c’è Willy, quarter marrone che vive per lei: «Da subito si è dedicato a Luke: sono inseparabili, mangiano assieme e lui le fa da apripista». Le offre la coda, lei si attacca come fosse una mano, se qualcuno si accosta alla staccionata lui la protegge «e quando Willy è in scuderia, Luke nitrisce disperata, gelosa, lo chiama: credo che, in un certo senso, si amino e che questo rapporto simbiotico aiuti molto Luke a vivere meglio e più a lungo». Nonostante la malattia ha potuto persino essere montata, ma solo da Gustavo: «Le ho insegnato a percepire meglio la presenza del fantino e a rispondere ai comandi delle mani». I cavalli, specie quelli che arrivano qui (ora ce ne sono 25), sono ipersensibili: «Secondo alcuni studi sentirebbero prima ancora dei cani il terremoto». E capiscono se Gustavo ha il giusto mood: «Se sono nervoso, quel giorno non si può lavorare». È lungo e paziente il percorso terapeutico per guarire il cavallo: «Si comincia da terra: ho una sorta di transfer con loro». E ci vogliono infiniti sussurri. Parole, sguardi, tocchi. Un crescendo, scandito pure da «litigate»: «Ho avuto un caso difficile, un esemplare da salto furioso, appena sono salito mi ha disarcionato, l’ho guardato, gli ho detto “sarà la prima e ultima volta”. E così è stato». Alla fine il cavallo deve capire che «non serve ribellarsi, non deve difendersi perché nessuno gli fa del male, che il fantino è lì per rispettarlo, aspettarlo e aiutarlo a galoppare e saltare in sicurezza, ma solo quando si sentirà forte: a quel punto si diventa amici». In pratica si arrende? «No, se entrega».