la Repubblica, 20 marzo 2016
Nel quartiere generale di Netflix
Los Gatos. Una cittadina nella Silicon Valley, a meno di un’ora di distanza da San Francisco. A Los Gatos, in un perfetto scenario americano, tra grandi magazzini, ristoranti ai bordi della strada, vecchie concessionarie di automobili in vendita e pendolari in coda, ha sede il quartiere generale di Netflix, il colosso dello streaming.
Nell’edificio, simile a quello di un college, lavorano – tra open space, sale riunioni, aree relax (dove consumare gratuitamente il pranzo dalle 11, con un’attenzione alle allergie e alle diete) e cabine di regia – circa 700 persone. Arrivano in treno e in macchina, e durante il giorno possono spostarsi da una palazzina all’altra utilizzando le biciclette posizionate nelle rastrelliere fuori dall’azienda. Nei distributori automatici non si trovano solo caffè e spuntini, ma caricatori per iPhone, chiavette usb, auricolari e altri accessori. Il prezzo è indicato per ricordare ai dipendenti di non sprecarli, dato che sono gratuiti. Si tratta, come la chiamano qui oltreoceano, di una politica aziendale di «freedom and responsibility», libertà e responsabilità.
Le sale riunioni hanno il nome di una serie televisiva o di un film. Da Taxi Driver a Mad Max, fino alla stanza Sex and the City con una gigantografia di Sarah Jessica Parker. L’anfiteatro dove si tengono riunioni e conferenze è uno dei luoghi più noti, dove è stato trasmesso il primo episodio in assoluto di House of Cards. Il più ricercato e misterioso, però, è l’ufficio di Reed Hastings, fondatore e amministratore delegato della società: un cubo di vetro nella parte superiore del quartier generale. «Nessuno sa bene dove si trovi – raccontano i dipendenti – perché lo utilizza solo quando cerca un po’ di tranquillità. Altrimenti, non è strano vederlo girare tra gli uffici, lavorare seduto vicino alla cucina comune e anche interagire con i lavoratori».
Fondata da Hastings e Marc Randolph nel 1997 come una startup con 30 dipendenti e un budget di 2,5 milioni di dollari a Scotts Valley, una cittadina nella contea di Santa Cruz, dopo qualche anno Netflix si è trasferita nella sede attuale. Nata inizialmente come servizio di noleggio di dvd e videogiochi spediti per posta al domicilio degli abbonati, nel 2007 ha iniziato a proporre contenuti in streaming, producendo dal 2011 programmi originali.
Partita dalla California, Netflix ha tessuto insieme internet e la tv con l’amore degli americani per il cinema sul divano: 75 milioni di iscritti in più di 190 Paesi, che ogni giorno guardano più di 125 milioni di ore di programmi, e un’espansione che punta al resto del globo offrendo film e serie a un prezzo inferiore a quello di un biglietto del cinema, con il solo possesso di una connessione internet a bassa velocità. «Tempo 10 o 20 anni sarà tutto online», era lo scenario prefigurato a settembre 2015 da Hastings, immaginando di lanciare una televisione on demand planetaria, raggiungibile ovunque, con un suo palinsesto (non soggetto a orari o a pubblicità) e un suo listino originale di programmi. Che, a pochi istanti dall’avvio della riproduzione, si adattano automaticamente alla massima qualità raggiungibile, in relazione alla disponibilità di banda. Per lo streaming hd, ad esempio, la piattaforma sceglie di volta in volta se optare per i 720p o i 1080p, determinando consumi differenti.
Una rivoluzione che, dal 22 ottobre scorso, ha raggiunto anche l’Italia, per ora con un catalogo inferiore rispetto a quello di altri Paesi. Certo, in un primo momento nessuno ci ha creduto. Netflix è nata come un’azienda di noleggio: nel giro di pochi anni, però, è diventata un colosso dell’ entertainment. Ha creato una delle serie tv più amata e seguite di sempre, House of Cards. E, non contenta, ha raccontato le donne per la prima volta in un modo totalmente nuovo ( Orange is the new black ) e ridato dignità ai personaggi dei fumetti, come Daredevil, che ha visto la presentazione ufficiale della seconda serie nella «War room» di Los Gatos proprio giovedì notte insieme al protagonista Charlie Cox. A essere riuniti intorno a un tavolo non c’erano solo i tecnici, attenti ai problemi di trasmissione e connessione sui diversi device, ma anche alcuni addetti a monitorare la reazione in tempo reale degli utenti sui social network.
Alla fine, che siate o non siate abbonati, che vi piaccia o meno l’offerta, l’operazione sembra pienamente riuscita. Lo dicono i numeri: 1,82 miliardi di dollari di ricavi nel 2015, il 23 per cento in più rispetto ai 1,49 miliardi del 2014. Un’enormità, con una platea maggiore di un intero paese (dieci milioni in più, per dire, della popolazione italiana).