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 2016  marzo 20 Domenica calendario

Démare, Swift, Roelandts: gli improbabili trionfatori della Milano-Sanremo

Démare, Swift, Roelandts. No, non è l’ordine di arrivo di una tappa della Quattro giorni di Dunkerque, ma si abbia pietà del vincitore, per una volta, e mentre imbruna e spuntano i nomi dei più improbabili trionfatori della Sanremo, e si riaffacciano alla memoria Den Hartog, Groussard, Maechler, Ciolek, Arnaud Démare si mette davanti a un microfono e racconta come si vince una volata: «Ho visto la caduta di Gaviria con la coda dell’occhio, mi sono chiesto per un istante se ci fosse qualcuno davanti, se avessimo ripreso tutti, avevo visto Kwiatkowski scattare». Ha visto quel che c’era da vedere. Un boato, mentre il colombiano, che forse lo sprint l’avrebbe vinto, ha avvolto l’arrivo, un enorme no. E poi ecco, il resto: Bouhanni a cui salta la catena, Swift che esita, Roelandts che si spegne.
Allora ha vinto un francese, come non avveniva da 21 anni, Jalabert l’ultimo, da lontano, dal Poggio. Un francese non vinceva una Classica dal ‘97: nel primo anno della Fdj Guesdon, con Adriano De Zan che esitò un attimo infinito prima di rintracciarne il nome, vinse un’affollatissima volata della Roubaix (e ieri Guesdon era in ammiraglia Fdj). Pchi mesi dopo toccò ancora a Jalabert, al Lombardia. Ma da allora Francia zero. Da allora, qualcuno disse, i francesi più di altri si sono impegnati nella lotta al doping. Non hanno avuto vincenti, ma nemmeno vincenti impresentabili. Adesso hanno una nidiata interessante. Démare, che ha 25 anni e una trentina di vittorie minori alle spalle – mai una tappa in un grande Giro, però anche una volata alla Parigi- Nizza, una settimana fa – e anche Bouhanni, e poi Pinot e Bardet, scalatori di alta classifica al Tour. Impronosticabile, certo, Démare, un velocista non stellato, uno che si allena col padre e l’ha fatto mercoledì, «100 km solo, poi 100 dietro moto con lui che mi incitava», s’immagina la solitudine, la pianura e la sua casa in Piccardia, l’aria e le pietre del Nord, non è un caso che il suo sogno sia la Roubaix. Un anno fa forò prima del Carrefour de l’Arbre, era davanti, c’era. Parbleu, che sia l’anno buono anche per quella.
La Sanremo corsa anche per 9 km in autostrada per una frana ad Arenzano, caduta 3 ore prima del passaggio dei corridori su due malcapitati, marito e moglie – lui operato alla testa nel pomeriggio – si è srotolata al sole come un boa annoiato, lunga fuga a 11, prime schermaglie che non arrivano mai, una caduta, con Démare dentro e anche Matthews prima che inizi la Cipressa. Il francese, incitato dal ds e dai compagni, torna dentro. Assiste da lontano ai tentativi sul Poggio, uno buono di Kwiatkowski, uno meno buono di Nibali in discesa, non seguito ma solo inseguito («non potevo fare di più, quando si corre con questo controllo alla fine va così e vincono i velocisti», 33° al traguardo), il polacco ripreso all’ultimo km. La caduta di Gaviria, che poi piange e si fa il segno della croce, ma intanto anche Sagan e Kristoff finiscono fuori gioco. Allora è partito, Démare: «La Sanremo è troppo grande per me, non ci credo, non può essere vero».
Di italiano c’è l’ottavo posto dell’antico Pozzato, che un po’ recrimina contro il «solito casino di chi vuole stare davanti e non ha le gambe, e il mio è un piazzamento, a Sanremo conta solo vincere». E poi il nono di Colbrelli, il decimo di Trentin, il numero di Fedi sul Poggio, il ventunesimo posto del quarantacinquenne Rebellin. Niente che varrà la pena ricordare in fondo, e invece si ricorderanno il caldo estivo e il maxi controllo di 165 bici, senza che diavolerie elettroniche emergessero, ed è il primo controllo così vasto fatto durante una Classica monumento. Nel buio della sera di Riviera si torna però a chiedersi come mai Démare e che corsa sia diventata la Sanremo, se il Poggio da solo non basti più. No, non basta più. Forse è l’ora davvero d’immaginarla diversa.