la Repubblica, 20 marzo 2016
Perché Ravenna spera che vincano i no
Tanti sono in spiaggia e nelle strade dei lidi, alla ricerca della prima abbronzatura e del fritto misto. Con l’aria pulita dopo le piogge, sembra che le piattaforme per l’estrazione del gas siano più vicine. «Certo – dice subito Gianni Bessi, ravennate, consigliere regionale del Pd – potremmo anche chiuderle. È come se Detroit cacciasse le fabbriche di auto, Milano chiudesse la moda, la Francia sradicasse le vigne dello champagne…». Quasi la metà delle piattaforme italiane sono nel mare davanti all’Emilia Romagna, e davanti alla città dei mosaici. Entro le 12 miglia, si contano 15 concessioni con 47 piattaforme collegate a 319 pozzi di estrazione. «Se passasse il referendum che chiede di non rinnovare le concessioni dopo la scadenza prevista, l’economia ravennate salterebbe in aria. Con la crisi mondiale dell’Oil&Gas, e anche per l’incertezza sulle regole per il futuro, l’anno scorso a Ravenna abbiamo perso 900 occupati e ne perderemo 2.700 entro l’anno, su un totale di 7.000. E crollerebbe anche l’indotto. Tutto ciò durante una crisi pesante che investe edilizia, porto e tante altre imprese. Crisi che rende impossibile preparare adesso un piano B per un futuro alternativo».Ravenna si sente in trincea, in attesa del referendum. Tutti uniti – o quasi – nella difesa del ferro delle piattaforme, delle buste paga di operai e ingegneri, saldatori e sommozzatori e anche del Mytilus galloprovincialis, volgarmente detto cozza, che qui nasce e prospera attaccata alle “gambe” delle piattaforme ed è diventata il mitilo più ricercato dai gourmet di mezza Italia. Anche la cozza entra nel referendum, perché per Greenpeace sarebbe inquinata da “mercurio, cadmio, piombo, arsenico”. Un’accusa respinta da chi produce 6.000 quintali all’anno di questo Mytilus speciale e riesce a venderli a un prezzo doppio rispetto agli allevamenti che puntano sulla quantità. «In questa campagna referendaria – dice l’ingegnere Renzo Righini, general manager della F.lli Righini, una delle più importanti aziende dell’offshore, assieme a Bambi, Cosmi, Micoperi, Rosetti e Tozzi – se ne sentono di tutti i colori. Non si possono affrontare con un sì o un no su una scheda problemi di strategia industriale. Abbiamo costruito un offshore all’avanguardia e le nostre scelte sono state confermate dal Protocollo Ravenna – sottoscritto da amministrazioni pubbliche, imprenditori, sindacati e tutta la città – in cui si riconosce che utilizzare le risorse a mare è cosa positiva, assieme all’impegno di ricerca di fonti energetiche rinnovabili. Non è facile un settore come il nostro. Qui non vai avanti con le relazioni ma solo dimostrando che sai lavorare bene. Nel 2014 il giro d’affari del settore è stato di 2 miliardi, ora è diminuito. Bloccare i pozzi alla scadenza della concessione è davvero una pazzia. Col referendum dici alle compagnie internazionali: “state lontane dall’Italia” perché qui le leggi possono cambiare da un giorno all’altro. E infatti gli investimenti sono già calati. La manutenzione di una piattaforma costa milioni di euro. Perché dovresti spendere se poi devi abbandonare un pozzo, anche se ancora pieno?». La Regione Emilia Romagna non è fra quelle che hanno chiesto il referendum. Il Pd ravennate ha detto di non andare ai seggi. Il Pri (qui esiste ancora) è d’accordo con il Pd. Divisa la Cgil. Il segretario della Filctem (chimici e tessili) Massimo Marani sostiene che il sì ucciderebbe il distretto, e dice di non partecipare mentre il segretario provinciale Cgil, Costantino Ricci, ieri ha invitato ad andare comunque ai seggi. «Il segreto delle nostre cozze da piattaforma? Nascono e crescono fra le quattro e le sedici miglia dalla costa e l’acqua è più salata perché lontana dai fiumi. Per questo sono più saporite». Giovanni Facci, già membro della Commissione europea pesca e agricoltura, spiega che le cozze appese alle gambe di ferro sono controllate dalle Asl e altre autorità da 24 anni (9.000 analisi all’anno). Un solo sforamento del valore del piombo trovato in 20mila controlli. L’Eni annuncia che “si può escludere che i mitili provenienti dalle piattaforme e commercializzati comportino alcun tipo di rischio per la salute delle persone”. Greenpeace replica confermando le accuse. La polemica non finirà il 17 aprile.