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 2016  marzo 20 Domenica calendario

Così Refugees Welcome, l’Airbnb dei rifugiati, ha salvato Reza

Reza ha una camera tutta per sé. «È la prima volta in vita mia». Sulla scrivania un dizionario dall’italiano al persiano e il suo quaderno d’appunti. «Ci scrivo tutti i miei pensieri». Sopra il letto, un grande poster con il profilo innevato delle Dolomiti. «Mi ricordano le montagne dell’Afghanistan ». Reza è un timido 25enne, rifugiato. È sbarcato a Lecce nell’estate del 2012, «su un barcone con altre 205 persone». Da venti giorni vive con Alberto e Silvia in un palazzone a due passi dal quartiere Prati, a Roma. «Reza ci insegna il persiano – sorride Alberto – io gli sto facendo un corso di Photoshop».A farli incontrare, Refugees Welcome: l’Airbnb dei rifugiati. La piattaforma, nata a Berlino nel 2014, è da poco sbarcata in Italia. Il network è semplice: basta registrarsi su refugees- welcome. it, offrendo una stanza per un periodo che va da tre a sei mesi. Sarà poi l’organizzazione a trovare un coinquilino idoneo alla famiglia. Molti profughi infatti non hanno un tetto sulla testa: lo Stato ha il dovere di garantirgli l’accoglienza finché sono richiedenti asilo, una volta ottenuto lo status di rifugiato non ci sono ulteriori obblighi.Refugees Welcome è un’associazione senza scopo di lucro. Chi ospita in casa ha solo un rimborso spese. Alberto De Angelis e Silvia Acquistapace non hanno chiesto neppure quello.«Ho letto su Facebook di questa opportunità – spiega Silvia – l’ho chiesto ad Alberto, l’ho comunicato ai miei figli, mi sono iscritta. Penso che la solidarietà vada praticata, non solo a parole». Alberto ha 55 anni, è un artigiano, fa splendide serigrafie. Silvia, 69enne, lo aiuta nella commercializzazione. I figli sono ormai grandi e lontani. «La femmina insegna tango a Berlino – racconta Silvia – il maschio fa il fisico a Glasgow. Ogni tanto tornano. Troveranno la stanza occupata e si accontenteranno del divano letto».La storia di Reza parte da lontano: «Sono fuggito da Helmand, in Afghanistan, con mia madre e mio fratello quando avevo sei anni. Siamo arrivati in Iran e lì sono cresciuto. Ho lavorato come manovale e sarto. A 21 anni mi sono messo in cammino. A piedi, su camion, autobus e infine su una vecchia barca ho rischiato di morire. Sono sbarcato quattro anni fa in Puglia. Il viaggio è costato 3mila euro». La meta di Reza è il Nord Europa. «Sono scappato dall’Italia, ma una volta arrivato in Svezia mi hanno fermato e riportato qui». Colpa del regolamento di Dublino: ti deve accogliere il paese Ue di primo arrivo. Reza fa domanda d’asilo in Italia e l’ottiene: «Ho cercato lavoro senza successo. Poi ho fatto un tirocinio di sei mesi in un bar di Roma grazie a Garanzia giovani, ma non ho ricevuto ancora un euro. Rischiavo di finire per strada. Nessuna struttura mi dava più ospitalità. Ho saputo di questa piattaforma da un volontario. Mi hanno detto che c’era una famiglia pronta a ospitarmi. Non ci credevo, ero anche un po’ impaurito. Ora eccomi qua». Reza parla poco, ma guarda tutto con attenzione, come dovesse prendere le misure a questa nuova vita. «Mi manca mia madre, non so se la rivedrò». Non ha amici e, almeno per ora, non gli interessano le ragazze, «anche se le italiane sono bellissime: per me conta solo il lavoro». Alberto lo sta portando ovunque: ristoranti, bar, mercato. Gli ha fatto anche un biglietto da visita con su scritto “barista”. Ma il sogno di Reza è diventare aiuto cuoco. «Sono musulmano, non mangio il maiale, amo cucinare».«Finora non abbiamo mai litigato – racconta Silvia – ceniamo sempre assieme. Poi Reza guarda la tv e va a letto presto». Alberto ride: «Sta sempre col dizionario in mano a cercare nuove parole. Gli piacciano i programmi di cucina e i tg». Ed è qui che Reza ha visto i nuovi muri: «C’era una barriera di filo spinato e i rifugiati che cercavano di passare. Ho ripensato a mia madre. Credo che chiunque fugga dalla morte debba essere accolto».