Libero, 21 marzo 2016
Meno morti ammazzati e più ladri. Statistiche sull’Italia criminale del 2015
Mai così pochi omicidi, mai così tanti furti in appartamento: sono questi i due dati più evidenti che emergono dalle ultime statistiche sul crimine in Italia, raccolte nel 2015 dal ministero dell’Interno e viste da Libero. Sono anche numeri che ci dicono qualcosa di più sull’andamento dei reati in Italia, quelli violenti e quelli contro la proprietà.
Nel 2015, gli omicidi nel nostro Paese sono stati 445, in calo rispetto ai 476 del 2014. In numeri assoluti non si tratta della cifra più bassa mai registrata – negli anni Sessanta il numero totale era ulteriormente inferiore, ma era inferiore anche la popolazione. Se contiamo gli omicidi sul totale degli abitanti, allora scopriamo che nel 2015 il tasso di omicidi ogni 100 mila abitanti è stato il più basso in più di 150 anni di storia italiana. Oggi si verificano circa 0,9 omicidi ogni 100 mila abitanti. Soltanto 30 anni fa, all’inizio degli anni Ottanta, il tasso era più che doppio e arrivava a superare i 2 omicidi ogni 100 mila abitanti.
Si tratta di un record che probabilmente sorprenderà molte persone, anche alla luce dei recenti fatti di cronaca nera. «Cento anni fa c’erano molti più omicidi di oggi, ma se ne sapeva anche molto meno», spiega il professor Paolo Savona, direttore del centro di ricerca Transcrime dell’Università Cattolica. I moderni mezzi di comunicazione hanno creato un effetto moltiplicatore: «Oggi i delitti sono diminuiti, ma è aumentata la paura». Un caso particolare di questo fenomeno è il femminicidio, cioè gli omicidi di donne compiuti da uomini. Ciclicamente i media parlano di «un’emergenza femminicidi», ma le statistiche mostrano che il tasso di donne uccise da uomini è rimasto costantemente allo stesso livello negli ultimi anni. «Inoltre, se confrontiamo i nostri tassi con quelli di altri Paesi europei ci viene da tirare un sospiro di sollievo», aggiunge Savona. Per quanto ogni singolo omicidio sia gravissimo, infatti, il tasso italiano resta uno dei più bassi d’Europa. Più in generale, spiega Marco Dugato, ricercatore di Transcrime, «possiamo dire che negli ultimi anni abbiamo assistito a un calo generale dei reati violenti, specialmente rispetto ad alcuni Paesi dell’Est e del Nord Europa. In Italia il problema della violenza non è così forte come in altri Paesi». Ma se omicidi e reati violenti calano, c’è almeno un tipo di delitto la cui frequenza è invece in netto aumento: i furti in appartamento. Tra il 2006 e il 2014 c’è stato un aumento di più dell’80 per cento: da 141.601 a 230.515. Nello stesso periodo le rapine in casa, quelle che avvengono con i proprietari all’interno dell’abitazione e a cui fanno seguito minacce e in molti casi percosse, sono passate da 2.125 a 3.209, con un picco nel 2014 di 3.619: dieci rapine in casa ogni giorno. I dati del ministero dell’Interno visti da Libero mostrano che entrambi i reati hanno avuto una flessione nel 2015, un segno – secondo Dugato – che l’ondata di piena di reati contro la proprietà a cui abbiamo assistito nel corso della crisi sta iniziando a scemare. Ma i numeri restano comunque fuori scala rispetto a pochi anni fa ed è ancora tutto da vedere se quello che abbiamo davanti è una inversione del trend o soltanto un pausa momentanea. Ci sono numerose spiegazioni per questo aumento di reati contro la proprietà e dei furti negli appartamenti in particolare. La crisi economica ha fatto certamente la sua parte, ma l’aumento è iniziato anni prima della grande recessione globale. Alcuni avevano ipotizzato che una delle ragioni fosse l’arrivo in Italia di bande di ladri e rapinatori professionisti dall’est Europa, dopo l’ingresso nell’UE di Bulgaria e Romania nel 2007. Le indagini di polizia e carabinieri hanno confermato che in molti casi le rapine in abitazione sono state compiute da bande formate da cittadini dell’Europa dell’Est. Ma come abbiamo visto, le rapine rappresentano una piccolissima frazione del totale dei furti in appartamento. Inoltre, le analisi più dettagliate effettuate da Transcrime dimostrano che tra i responsabili di furti e rapine in abitazioni la proporzione di cittadini stranieri e cittadini italiani è rimasta più o meno costante. Se l’allargamento dell’Europa fosse stato un fattore più importante, avremmo dovuto assistere a un aumento della proporzione di stranieri tra chi commetteva questo tipo di reati. Infine, bisogna considerare che i grossi furti in abitazione, quelli in cui in cui i ladri arrivano col furgone e ripuliscono tutto il contenuto di una villetta, o le rapine in cui i proprietari vengono sequestrati e costretti ad aprire la cassaforte, per quanto siano eventi tragici e spettacolari sono solo una ridottissima percentuale del totale. Nella grande maggioranza dei furti in abitazione vengono rubati i pochi oggetti di valore che sono in vista e facili da trasportare. Si tratta quasi sempre di furti di «opportunità», in cui il ladro decide all’ultimo momento dove colpire, spesso a causa di una piccola distrazione del proprietario, come ad esempio una finestra lasciata aperta. Un altro dato importante da rilevare è una sorta di «spostamento» del mirino dei criminali, da un tipo obiettivo ad un altro. Lo si può vedere chiaramente guardando più da vicino le statistiche fornite dal ministero dell’Interno. Ad esempio, le rapine in banca sono diventate un fenomeno quasi marginale: erano 2.821 l’anno nel 2006, mentre nel 2015 sono scese a 770, un crollo dell’80 per cento. Sono diminuite anche le rapine negli esercizi commerciali: erano 8.075 nel 2006 e sono scese nel 2014 a 6.176. Negli ultimi dieci anni, infatti, sia le banche che, in misura minore, gli esercizi commerciali, hanno investito molto in sistemi di sicurezza, trasformandosi in noci sempre più dure da rompere per i criminali che quindi hanno spostato i loro obbiettivi verso bersagli più facili, come le abitazioni private. E come si inseriscono in questo quadro le risorse a disposizione delle forze di polizia? Negli ultimi anni sono state spesso tagliate le cosiddette spese di esercizio, quelle che servono a comprare la benzina per l’auto, le ore di addestramento e il materiale di cancelleria. Ma il numero di agenti di polizia è rimasto stabile ed è tuttora tra i più alti d’Europa. Tra i grandi Paesi europei, Francia, Germania e Regno Unito, l’Italia è di gran lunga quello con il maggior numero dei poliziotti pro capite. Nel nostro Paese si spende molto per il personale, poco per l’esercizio e ancora meno per gli investimenti. Secondo il professor Savona, proprio quest’ultima è la voce che invece andrebbe incrementata: «Il problema non è nel numero di forze impegnate, ma nei modelli organizzativi: bisogna ridurre il personale, aumentare le sue qualificazioni e dotarlo di tecnologie più innovative». Ad esempio, un modello diffuso in molti Paesi del mondo, ma che in Italia fatica ancora a diffondersi è quello della cosiddetta «legge 80/20»: l’80 per cento dei reati viene commesso sul 20 per cento del territorio: «Dovremmo concentrare le risorse dove avvengono più reati, non è possibile che in certe parti d’Italia ci sia ancora un commissariato di polizia davanti a una tenenza dei carabinieri soltanto per fare un piacere a un politico locale».