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 2016  marzo 21 Lunedì calendario

Quei tre minuti e un secondo che hanno reso Buffon davvero imbattibile

Tre minuti più un secondo. E lì dentro, tutta una vita. Tre minuti per diventare il portiere meno battuto per più tempo e di tutti in tempi in serie A, per Gigi Buffon che di tutti i tempi è il più grande e basta. Tre minuti (più un secondo) da far passare nel derby poi stravinto, ma in quei tre sospiri iniziali c’è il senso di tutta la storia, di una carriera impareggiabile fino al numero finale scolpito, 974: cioè i minuti del record perché un rigore granata chiude il cerchio, i primati cominciano e i primati finiscono, ogni numero nasce e muore per essere compiuto. Il tempo, dunque. Dieci partite e mezza senza gol, vale a dire quasi 16 ore e mezza: da impazzire di solitudine. Oppure, cambiando misurazione, 70 giorni. «Un traguardo incredibile che dipende dal gruppo, non solo da me», dirà alla fine Buffon, 38 anni a gennaio, cioè, malcontati, 20 milioni di minuti di esistenza. Ma sono quei tre a valere davvero, a farsi simbolo di una vita intera.
Lì dentro c’è il debutto a 17 anni, quando Nevio Scala chiese al ragazzino «e se ti facessi esordire?» e il ciuffo nero gli rispose «mister, e qual è il problema?». Lì dentro c’è la nazionale a 19 anni, i 100 miliardi pagati dalla Juve per averlo, le 154 partite in azzurro, oltre qualunque leggenda del nostro calcio. Ed è con questa parola scritta in maiuscolo, LEGGENDA, che la curva juventina ieri ha salutato il record allo scoccare dell’ultimo secondo, mentre i granata ritmavano “Buffon/tu sei/un figlio di p.” Lui ha salutato tutti con i pollici alzati nei suoi giganteschi guantoni gialli, ha mandato molti baci e alla fine ha preso per il collo i custodi del tempio, Bonucci e Barzagli, e come se volesse portar via loro la testa li ha trascinati fuori dal campo così. «Io non mi sono mai visto come l’uomo dei record individuali, però se prendi la vita come gruppo poi vieni premiato come singolo». Da qualche anno, Gigi Buffon cerca parole più cesellate nelle interviste, le mette in fila come a giocarci ed è così, scrivendo, che ha voluto dire grazie a tutti i compagni su Facebook, che quando lui debuttò in A manco esisteva ed erano appena arrivati i telefonini. Una riga per ogni bianconero tra “cancelletti” e metafore, lui poi preso in giro da Allegri: «È ottimista, Gigi, che avrà preparato tutto sabato quando il record non c’era ancora». Si piacciono molto, il portiere e l’allenatore. «Da due anni in Europa abbiamo cambiato marcia» ha detto Buffon, in qualche modo una cartolina a Conte. «Allegri ci dà tanto. Nei momenti in cui arranchiamo, il suo ottimismo ci aiuta a non pensare».
Quelli che del calcio contano anche le virgole, fanno sapere che durante i 974 minuti di solitudine, Gigi Buffon ha fatto 33 parate, alcune delle quali difficilissime perché rare, visto che la palla passa dalle sue parti con la frequenza di una cometa di Halley e non concede seconde possibilità. Ma a Gigi, da sempre, basta e avanza la prima.
Eppure, nel suo giorno perfettissimo le cose non erano cominciate bene. «Mi sono alzato con qualche linea di febbre, ma non potevo arrendermi oggi». Poi, Gigi deve avere immaginato istante per istante il procedere di tutto, l’arrivo del pullman allo stadio (tiro a segno, al solito), il riscaldamento, i tifosi da salutare con le mani, lo scambio dei gagliardetti, la presa di possesso del territorio, la porta, luogo simbolico, casa e tana, il rifugio e l’abisso per quanto può diventare alta, per come sa farsi larga e profonda. Il portiere la abita come l’ultimo giapponese in trincea.
 
Dopo la partita, le parole saranno tutte mescolate come gli anni per arrivare fin qui. «Ringrazio la squadra per come si difende e mi difende, cominciando dagli attaccanti che si fanno un mazzo tanto: qui c’è voglia di condividere tutto, anche la sofferenza. Al record pensavo dalle ultime due partite, anche se vincere contava di più. Grazie anche al mio nucleo famigliare per la gioia e l’entusiasmo», primo caso, forse, non solo di famiglia ma di dedica allargata. «E adesso gli Europei: vi do un’anteprima, per me saranno gli ultimi però me li gioco». Gli mancano. Come gli manca la stramaledetta Champions: «Ma se continuiamo a crescere così, entro un paio d’anni saremo di nuovo in finale».
Finale, fine, finire. Le parole che Gianluigi Buffon non mastica mai in quella bocca spesso sorridente, perché il suo sport è anche allegria. Eppure ha saputo fare la smorfia cattiva, quando disse «basta figure da pellegrini» nei giorni in cui la Juve perdeva sempre. Pare una vita fa. Una vita più tre minuti.