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 2016  marzo 21 Lunedì calendario

Il 13 novembre e la strage dei bambini. I due segreti di Salah, che era pronto ad ammazzare ancora

Carlo Bonini per la Repubblica
Il ministro degli Esteri belga Didier Reynders usa la certezza dell’indicativo. «Salah Abdeslam – dice, riferendosi all’interrogatorio di sabato – ha detto che era pronto a colpire ancora. A pianificare qualcosa di nuovo da Bruxelles. Ed è probabilmente la realtà. Perché abbiamo trovato armi pesanti e individuato una nuova rete intorno a lui». Le parole del ministro spiegano la paura di un colpo di coda di quel lembo di rete oggi smembrata ma non per questo rassegnata. Dunque, la permanenza dell’allerta di livello “3” nella capitale belga e il rafforzamento con 5mila uomini della gendarmerie francese del dispositivo di sorveglianza lungo la frontiera franco-belga. Ma dimostrano anche che ora la posta in gioco sono i segreti che proteggono quel che resta della filiera europea dell’Is e di cui Salah Abdeslam è rimasto il solo custode.
LA POSTA IN GIOCO
Anche per questo, Sven Mary, principe del foro belga, dopo aver ottenuto da Salah quella nomina e quella ribalta internazionale che aveva pubblicamente cercato, ha scelto la strada dell’azzardo.
Mentre infatti apre alla Procura Federale di Bruxelles, ingolosendola con la prospettiva di una collaborazione di Salah che dovrebbe quanto meno rendere più laboriosa e lenta la sua consegna alla Francia, dall’altra chiude con quella di Parigi. Caricando i toni e le iniziative (denuncerà alla Procura di Bruxelles il Procuratore francese François Molins per violazione del segreto istruttorio, contestandogli di aver svelato le prime ammissioni di Salah). Consapevole che la battaglia procedurale non sarà breve e si complicherà. Che sull’asse Parigi-Bruxelles si potrebbero persino a un certo punto incrociare richieste della magistratura italiana, poiché il suo cliente sarà presto indagato anche dalla Procura di Roma (o da quella di Venezia) per l’omicidio di Valeria Solesin.
Consapevole, soprattutto, che “il martire riluttante” del 13 novembre potrebbe diventare il primo “pentito” nella storia del Califfato e, dunque, pedina per la quale qualunque Intelligence europea sarebbe oggi disposta a fare carte false.
LA RETE EUROPEA
«Sono almeno due i segreti sulla rete europea dell’Is che Salah Abdeslam è in grado di svelare – dice a Repubblica una qualificata fonte dell’Intelligence francese – E riteniamo che, al di là del rumore che sta facendo il suo avvocato, non avrà altra scelta che consegnarceli. Salah Abdeslam è un codardo che, in questo momento, dovrebbe preoccuparsi più della vendetta dell’Is che della giustizia e della polizia francese».
Il primo e il più ovvio dei segreti ha a che fare con la ricostruzione delle stragi del 13 novembre. Di cui Salah è in grado di colmare le lacune. E di cui, ieri, è tornato a dare conto il New York Times pubblicando il documento riservato di 55 pagine dell’Antiterrorismo francese sui fatti di quel venerdì. Un ricostruzione minuta, da cui emergono dettagli inediti, come l’uso massivo di telefoni cellulari dedicati, la criptazione nelle comunicazioni mail, e il ripetersi di un’identica tecnica di fabbricazione dell’esplosivo (il Tatp).
LA STRAGE DI BAMBINI
Ma c’è appunto un secondo segreto di Salah, se si vuole ben più cruciale del primo, che spiega lo stato di fibrillazione dei Servizi di mezza Europa. Quattro giorni prima di morire a saint Denis, Abdelhamid Abaaoud, il ring leader delle stragi del 13 novembre, confida alla cugina Hasna Aitboulahcen e all’amica che con lei lo ha aiutato a trovare rifugio dopo le stragi che le stragi simultanee di Parigi non sono che un incipit. Al punto – aggiunge Abaaoud – che il successivo obiettivo sarà «un asilo» per una «strage di bambini francesi» (parole che convincono l’amica di Hasna a consegnare Abaaoud alla polizia, svelandone il rifugio).
Dei 90 martiri di Daesh arrivati in Europa tra l’estate e l’autunno del 2015, Salah sa molto. Se non tutto. Non fosse altro per il ruolo di incessante raccordo che ha avuto in quei mesi per mettere in contatto parte almeno di quegli uomini approdati nei diversi Paesi dell’Unione. Tra l’agosto e l’ottobre 2015, Salah è infatti transitato in Italia in direzione della Grecia. Ha visitato Austria ed Ungheria (al cui confine verrà casualmente intercettato). Ha raggiunto Ulm, in Germania (il 3 ottobre) in compagnia dell’uomo arrestato con lui venerdì scorso a Molenbeek (e della cui identità continuano a conoscersi solo gli alias, accreditati da falsi documenti belgi e siriani, di Munir Ahmed Alaaj e Amine Shukri) per recuperare almeno tre uomini ospitati in un centro di accoglienza per migranti. E ancora: ha viaggiato nel nord del Belgio verso il confine con l’Olanda.
Di quei 90 uomini o di ciò che ne resta ora Salah può fermare la corsa. Consegnandoli.

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Guido Olimpio per il Corriere della Sera
Le iene. Ibrahim Abdeslam, fratello di Salah, arriva al bistrò di rue de Voltaire e lo notano subito perché è infagottato in troppi abiti. Lui va avanti e indietro davanti al locale, sembra indeciso. Poi si ferma e si rivolge sorridendo ai clienti: «Scusate per il disturbo causato». Attiva la carica. Samy Amimour fa parte del commando che ha fatto irruzione al Bataclan. I testimoni, sotto choc, raccontano che a un tratto afferra uno strumento e si mette a suonare, poi ride in modo sarcastico. Quando viene colpito dal tiro di un commissario di polizia si fa saltare per aria. C’è questo e molto altro in un rapporto di 55 pagine redatto dagli inquirenti e destinato al ministero dell’Interno francese. Un dossier sul massacro del 13 novembre del quale il New York Times ha diffuso molti dettagli. L’Isis ha addestrato un team che doveva essere in grado di preparare le bombe, di condurre azioni multiple e coordinate, con kamikaze e «tiratori» decisi a fare molte vittime. Un gruppo che ha usato documenti falsificati in modo perfetto, sfruttato l’onda dei profughi, aggirato controlli troppo fiacchi. Gli inquirenti ammettono di non conoscere ancora l’ampiezza della rete jihadista. Nel documento sottolineano che sono state arrestate una ventina di persone in sei Paesi diversi. Però molti potrebbero essere ancora in giro, pronti a colpire.
La Scientifica ha recuperato reperti sui resti degli attentatori suicidi che hanno permesso di individuare una mano comune nella messa punto delle fasce esplosive. Ordigni composti dalla Madre di Satana, una miscela composta da prodotti facilmente reperibili sul mercato civile, una batteria da 9 volt, detonatore e frammenti di ferro a fare da proiettili. I terroristi hanno comprato dozzine di cellulari. Alcuni li hanno attivati solo per l’attacco, altri sono stati rinvenuti nei covi ancora nelle scatole. Pochissime le tracce digitali, niente email o messaggini. Al Bataclan si sono impadroniti dei telefonini degli ostaggi per sottrarsi alle intercettazioni e uno dei criminali aveva un pc portatile forse protetto da un sistema criptato. Il commando si è mantenuto in contatto con il loro referente operativo sul campo, Abdelamid Abaaoud, e con due complici in Belgio, Samir Bouzid e Soufiane Kayal. Il primo è morto con il kalashnikov in pugno, il secondo è ancora latitante.
Il report si ferma alle fasi dell’attacco e non esamina il «dopo», con il mistero più grande. Perché l’Isis non ha «recuperato» Abdeslam? Non era considerato degno di aiuto in quanto aveva abbandonato la missione? O doveva servire per future operazioni? A Bruxelles sono convinti che Salah stesse pianificando altre sorprese.