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 2016  marzo 21 Lunedì calendario

E intanto i migranti continuano ad arrivare in Grecia (1.200 in 24 ore)

Ettore Livini per la Repubblica
Il buongiorno si vede dal mattino. E il gommone blu apparso all’alba di ieri di fronte a Lesbo con il suo carico di 50 migranti partiti dalla Turchia ha confermato quello che tutti si immaginavano: firmare l’accordo tra Bruxelles e Ankara è stato difficile, tradurlo in pratica in tempi stretti sarà quasi impossibile. Gli arrivi sulle isole dell’Egeo continuano (oltre 1.200 nelle ultime 24 ore), malgrado dalla mezzanotte di ieri tutte le persone sbarcate siano destinate al rimpatrio. Atene ha già alzato bandiera bianca: «Per rendere operativo il piano servono più di 24 ore», ha ammesso Giorgos Kiritsis, portavoce del centro per l’emergenza dei migranti. La Grecia, messa in ginocchio da sei anni di crisi, ha di fronte un compito titanico. E i mezzi,non ci sono. «Mancano i traduttori. Non ci sono gli operatori e gli ispettori per registrare le richieste d’asilo. E nemmeno un piano su come e con che imbarcazioni si debbano rispedire i profughi verso le coste dell’Asia», dice Petros Georgiadis, uno dei (pochi) poliziotti che vegliano sull’ordine pubblico al Pireo, dove sono accampati in situazione caotica oltre 4mila persone.
Bruxelles ha promesso 300 milioni (180 stanziati nel 2015) e l’invio di 2.300 funzionari per affiancare il governo nella gestione della crisi. Ma non ne è arrivato nemmeno uno. In alto mare sono pure le procedure con cui l’esecutivo ellenico dovrebbe arruolare altri 1.700 effettivi da distaccare sul campo. Di più: prima di avviare i rimpatri devono essere approvate in Parlamento alcune misure per dare l’ok alle procedure accelerate. Il premier Alexis Tsipras resta fiducioso: «Ce la faremo e rispetteremo gli standard internazionali», ha ribadito in un incontro straordinario con i ministri. Sul terreno però è il caos. Ieri è iniziata la “deportazione” dei rifugiati bloccati negli hotspot sulle isole. Oltre 4.200 a Lesbo, 2.800 a Chios e più di mille a Lero. I traghetti partono stracarichi in direzione di Kavala o verso Atene, dove approdano sempre più spesso a Elefsina (vicina al campo di Schisto) per evitare di ingolfare ulteriormente la drammatica situazione al Pireo. L’obiettivo è liberare i centri per trasformarli in punti di detenzione dove nei prossimi giorni si esamineranno le richieste d’asilo di chi sbarcherà, per poi imbarcarlo di nuovo su un mezzo e rispedirlo in Turchia. Il processo per ora viaggia a scartamento ridotto. E Atene, dicono fonti del ministero dell’immigrazione, non sarà in grado di rimandare al mittente un singolo rifugiato almeno fino al 4 aprile. Specie se gli sbarchi – con buona pace dei pattugliamenti di Nato e navi turche – continueranno ai ritmi della ultime ore.
L’altro fronte caldo è quello dei 47mila migranti già bloccati sul suolo greco. «Quelli che accettano di imbarcarsi sui nostri bus per andare nei campi attrezzati sono pochissimi», racconta Iannis, autista di un pullman verde con le insegne cancellate che ieri ha fatto un solo viaggio dal Pireo a Volos con 43 persone a bordo («in programma ne avrei avuti tre»). I posti letto a disposizione sono meno di quelli necessari – 43mila a ieri – e i diretti interessati, dai 1.500 accampati nelle strutture fatiscenti dell’ex aeroporto di Atene fino ai 12mila di Idomeni, preferiscono attendere novità che non arriveranno mai. «La riapertura della frontiera», sintetizza Mohamed seduto sul jersey giallo all’ingresso E2 del porto, mentre l’ex star afgana Musavir Roshan (ora rifugiato) improvvisa un concerto sul molo per i compagni di sventura.La Grecia è in ritardo. Ma anche l’Europa non corre. Bisogna accelerare i ricollocamenti da Atene: l’obiettivo è farne 5.679 al mese, 20mila entro metà maggio. Peccato che dei 130mila promessi all’esecutivo ellenico sei mesi fa ne siano stati realizzati solo 937. E intanto, dal Camerun, il presidente Mattarella ha richiamato la Ue ai valori di solidarietà e accoglienza, perché diventino «sempre di più patrimonio della comunità internazionale».

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Francesco Battistini per il Corriere della Sera
Isola di Lesbo (Grecia) Arslan, numero 78. Muhammad, numero 79. Abbas, numero 80... Seduta sotto un ulivo, nella tendopoli di Moria che tiene i pachistani e gli afghani separati dai siriani, la volontaria Carolyn del Minnesota lavora la mattina presto. Macchina fotografica, lavagnetta magnetica, pennarello blu cancellabile. Le sfilano davanti i beluci, uno dopo altro, disciplinati e preoccupati. «Tranquilli, non vi sto schedando...».
Una faccia una storia un destino, tutto si riassume nel clic impossibile da rifiutare, nel numerino che tutti devono avere, nella verità che nessuno rivela: tranquilli, cari beluci, coi pachistani e coi bengalesi sarete voi i primi a essere rispediti indietro... Hanno attraversato cime e steppe come stormi d’oche indiane calve, le migranti più spericolate che si conoscano in natura, e a fermarli alla fine è l’inezia d’un timbro europeo, d’un funzionario Frontex, d’una volontaria Carolyn. Non si scappa, lo dicono l’accordo Ue e la logica, perché a casa loro non si spara abbastanza e la miseria non è una scusa sufficiente: i siriani e gl’iracheni sì, gli afghani chissà, gli altri proprio no. In una quindicina lo capiscono prima degli altri e si sfilano. S’incamminano per le colline pietrose verso Mitilene, scendono al porto, offrono gli ultimi soldi a un due alberi maltese che si chiama Next Wave, la prossima onda, «ci dia un passaggio ovunque», infine tentano di salire disperati e clandestini sul ferry per Atene. Li scoprono, li interrogano, li rinchiudono: sono i primi arrestati dell’operazione Tutti a casa.
A Lesbo è come ieri e l’altro ieri. E così a Chios, a Samos, a Kos, a Leros. 7.316 in attesa d’un via libera o d’un via di qua. S’arriva, s’aspetta, si spera. Il governo Tsipras vuole svuotare le isole e fare il censimento dei diritti d’asilo sulla terraferma: i primi traghetti salpano per l’Attica di Skaramangas, per la Grecia centrale di Volos, per il Nordest di Kavala, ovunque meno che per il congestionato Pireo. I greci non devono ancora respingere e non devono più accogliere. Ma tra il partire e il bloccare c’è di mezzo il mare: compaiono quindici barche nelle ultime 24 ore, 875 nuovi sbarchi. Accordo o no, i migranti non vogliono restare soli a mezzanotte e tre ore dopo l’entrata in vigore del nuovo blocco, dal buio dell’orizzonte turco, ecco il primo barcone. È il rituale risaputo d’80 spettri infagottati, pigiati, spiaggiati vicino all’aeroporto. Due sono già morti, infarto o chi lo sa, si tenta un massaggio cardiaco. «Nessuno ci ha dato nuove direttive e in ogni caso non ho uomini sufficienti» spiega il commissario capo di Lesbo, Dimitris Amoutzias, per mostrare che la polizia fa come sempre: li asciuga, li riveste, li nutre. Poi chiude tutti nella tendopoli di Moria, informando finalmente chi parla un po’ d’inglese: saranno loro, appena arriveranno i funzionari promessi da Bruxelles, i primi respinti del nuovo corso. «A me non l’ha detto nessuno che non si poteva più venire in Europa», si fa tradurre Hamza Sheabaz, 16 anni, pachistano di Lahore. Uno scafista gli ha preso i mille dollari e gli ha consigliato di dichiarare che è solo: per i minorenni senza famiglia c’è qualche speranza, anche se non vengono da una guerra. «A casa mia abbiamo venduto tutte le mucche, per trovare i cinquemila dollari di questo viaggio. Siamo pieni di debiti con la banca. Chi glielo dice a mio padre, adesso, che mi rimandano indietro?».
Poi ci sono altri sbarchi, più comodi. I francesi della polizia di frontiera europea, Frontex, si sistemano a 170 euro per notte nel Blue Sea Hotel vista marina. Hanno i giubbotti azzurri col logo e la domenica sono già a pranzo nei ristorantini del lungomare. È l’unica Europa che si vede finora: Parigi e Berlino hanno promesso 600 esperti per le impronte digitali e le pratiche necessarie, i rumeni si sono accodati con 70 funzionari e un paio di navi, gli altri seguiranno. «Se cominciamo presto a fare i rimpatri – è sicuro Antonis Sofiadelis, capo della Guardia costiera di Lesbo —, ci sarà un effetto deterrente». I turchi vogliono far bella figura, dimostrare d’usare bene i soldi europei: già sparano l’incredibile cifra di 1.734 clandestini bloccati e spediti in un centro a Izmir, 16 trafficanti arrestati. E se ne infischiano dei migranti che denunciano d’essere trattati come animali, al di là dell’Egeo, «ci prendono e ci lasciano giorni senza cibo e senz’acqua». «Tanta durezza è perché molti sono curdi», dice un funzionario Onu in Grecia: «L’accordo con Bruxelles prevede visti agevolati ai turchi: quale migliore occasione per i curdi? Usare il passaporto di Ankara per andare in Germania...».
Vuol dire che, mentre fermano i siriani, finiscono per mandarci i curdi? «Questa storia è infinita. E noi stiamo svuotando il mare col cucchiaino».