Il Sole 24 Ore, 19 marzo 2016
Tra Bpm e Banco Popolare la fusione è più vicina
Il pressing del Governo, il colpo di reni delle banche, l’accantonamento – per ora – degli eventuali piani B con relativi attori protagonisti. Il Banco Popolare e la Banca Popolare di Milano hanno deciso di darsi un’ultima occasione per tentare un’integrazione che fino a un paio di giorni fa sembrava quasi definitivamente tramontata.
Il buon esito non è certo, tuttavia l’intensa giornata di ieri ha impresso una svolta a un processo ormai in fase di stallo da settimane, al punto che i più ottimisti tra gli addetti ai lavori ieri consideravano la fusione ormai «cosa fatta». Decisive saranno le prossime ore, con i consigli convocati per martedì sia a Milano che Verona: se l’accordo, come pare, è a portata di mano, i due board potrebbero approvare un memorandum of understanding, o annunciare quanto meno la prosecuzione degli approfondimenti.
In realtà, come emerso chiaramente dalla lettera ricevuta dalla Banca centrale europea mercoledì sera e comunicata ieri dalle due banche su richiesta della Consob, la strada è stretta e faticosa. Anzitutto sul fronte dei Non performing loans e delle ripercussioni sul capitale: Francoforte ha posto al 21% il rapporto tra la quota dei crediti non performing e il totale del portafoglio complessivo al 2018, da un aggregato di partenza pari al 23 per cento. A fronte delle cessioni stimate in 7-8 miliardi di euro (da realizzare tramite dismissioni tout-court o cartolarizzazioni dei debiti) e destinate a provocare minusvalenze con effetti negativi a livello patrimoniale, le due banche contano di raccogliere capitale fresco. La via più facile sarebbe l’aumento di capitale, ma i due Ceo l’hanno escluso categoricamente a più riprese. Una considerazione ribadita ieri mattina alle otto, quando Pierfrancesco Saviotti e Giuseppe Castagna si sono incontrati per fare il punto della situazione.
Per rispettare i paletti posti dalla Bce i due manager puntano quindi su un mix di operazioni (le cosiddette capital actions) il cui valore, nel complesso, si aggirerebbe attorno al miliardo e mezzo di euro. Una somma da trovare subito, punto di partenza per il piano industriale (al 2020) chiesto sempre dalla Vigilanza entro la metà di aprile per poter dare il suo benestare all’operazione.
Sul tavolo c’è dunque l’ipotesi di vendere asset ritenuti “minori”: il focus, in particolare, sarebbero le partecipazioni del Banco Popolare in Agos Ducato (credito al consumo posseduta al 39%), in Aletti Gestielle sgr e quella di Bpm in Anima holding, che a bilancio vale 132 milioni. A queste operazioni, si potrebbe aggiungere l’emissione di un bond convertibile (o convertendo) per un importo residuale. Già a partire da oggi e nei prossimi giorni il piano industriale sarà oggetto di approfondite riflessioni da parte degli advisor (Mediobanca con Merrill Lynch e Colombo per il Banco e Lazard con Citi per Bpm). Si lavorerà per l’intero weekend e fino a martedì, quando come detto si riuniranno entrambi i board.
Del resto, a imprimere un’accelerata all’operazione è stato il Governo che, in sintonia con Banca d’Italia e tenendo aperto un canale diretto con la Bce, si è speso apertamente a favore del deal. Non è un caso che ieri, mentre a Milano si lavorava sul piano, a Roma si impartiva una doppia frenata al piano B che negli ultimi giorni aveva iniziato a prendere forma in Piazza Meda, con una prospettiva stand alone e il ritorno in auge di Andrea C. Bonomi. Prima in una telefonata tra il finanziere e i responsabili della Vigilanza di Banca d’Italia, e poi nella verifica intercorsa tra il Tesoro e alcuni dei vertici dei sindacati bancari, cui veniva ribadito senza mezzi termini che il progetto di integrazione tra le due banche rimane sul tavolo, e quindi ogni possibile ripiego vada tenuto da parte. Almeno per qualche giorno.
Già oggi i vertici del Banco Popolare sono attesi da un appuntamento pubblico, cioè l’assemblea dei soci convocata a Lodi. Appuntamento di routine che, visto il momento, ha assunto ben altra connotazione: all’ordine del giorno c’è l’approvazione del bilancio 2015 (chiuso in utile per 347 milioni), ma il ceo Saviotti e il presidente Carlo Fratta Pasini non potranno tirarsi indietro dalle probabili domande dei soci sul progetto di fusione con Bpm. Quasi come avessero”fiutato” l’importanza dell’appuntamento di oggi, 50mila soci (deleghe comprese) si sono accreditati per l’assemblea, che potrà essere seguita in video conferenza anche dai poli fieristici di Verona e Lucca. Atteso circa il 15% del capitale, tra i quali alcuni soci di rilievo – presente o futuro – come Fondazione CariVerona, che sta seguendo con attenzione i diversi cantieri delle popolari venete.