la Repubblica, 19 marzo 2016
Cecilia Bartoli fa l’elogio della lentezza
Si può essere una stella internazionale della lirica rifiutandosi di salire sugli aerei? Esistono ancora smaglianti tournée di artisti che si affidano solo ai treni e alle navi? Certo che sì, secondo Cecilia Bartoli, diva applaudita ovunque nel pianeta: «In quest’epoca iper-tecnologica e frenetica bisogna andare contro la corrente, recuperando il tempo di godersi il viaggio», sostiene accorata e ridente la cantante che sono in molti a considerare il massimo mezzosoprano del mondo. «Abbiamo finito per dimenticare la meravigliosa percezione progressiva degli spostamenti nello spazio, mentre invece è così bello adattarsi a ritmi consoni alla nostra salute fisica e psicologica. Basta organizzare le trasferte con giudizio». E se il concetto non fosse abbastanza chiaro, Cecilia segnala di odiare l’aereo, «dove ti dicono sempre quel che devi fare: ora mangia, ora dormi, ora mettiti seduto. Se riesci ad assopirti ti svegliano, e può capitarti accanto un vicino antipatico o noioso. Oppure stai per ore incastrato fra due posti senza poterti alzare». Per evitare tante sofferenze, l’impavida Cecilia va sempre negli Stati Uniti sulle navi, «e quest’idea in origine mi venne perché volevo rifare il viaggio che portava gli emigranti italiani nelle Americhe. Ho parenti in Argentina, e nell’infanzia mia nonna mi raccontava le loro traversate, che in passato erano necessarie anche per le troupe di europei accolte nei teatri americani».
Bartoli decise di ripercorrere il tragitto: «Presi il transatlantico Queen Elizabeth in Inghilterra, a Southampton, e approdai a New York dopo una settimana che si rivelò straordinaria. È emozionante staccarsi via via dalla costa ed essere circondati dall’immensità del mare, dov’è speciale il profumo dell’aria. Le giornate scorrono tra passeggiate sui ponti e miracoli quali l’aurora boreale, con le sue impressionanti linee fluorescenti».
Cecilia ha compiuto il viaggio intercontinentale numerose volte: «Ho anche scelto differenti direzioni, per esempio arrivando in America dal grande nord, lungo la rotta che dall’Islanda conduce in Canada».
Spesso, riferisce ancora Cecilia, gli incontri umani sulla nave sono notevoli e inconsueti: «Mi è accaduto di viaggiare con un gruppo di italo-americani intenzionati a provare le stesse sensazioni vissute dai loro avi, quando avvicinandosi a New York all’alba si spalancava davanti a loro l’immagine della Statua della Libertà. Alle cinque di mattina tutti si sono messi a piangere di commozione, identificandosi coi trascorsi dei nonni».
Per un cantante lirico muoversi in nave implica un vantaggio in più: «Quando sbarchi in aeroporto col tempo del volo sulle spalle ti senti morto perché il corpo non si è abituato al nuovo orario», spiega Cecilia. «Ma in nave non succede: il cambiamento dell’ora è graduale. Così, mentre i miei colleghi sono distrutti e devono recuperare le forze, io sono subito fresca come una rosa e pronta a provare sulla scena del Metropolitan di New York. Credo che la mancanza di stress da fuso orario sia il motivo per cui le voci e le carriere di una volta reggevano tanto più a lungo».
Di viaggi felici Cecilia ne ha sperimentati vari pure in treno, «traversando l’America e l’Europa e scoprendo paesaggi non vedibili dall’aereo. Sono andata a San Pietroburgo raggiungendo con un treno dalla Svizzera la città tedesca di Lubecca, da dove un rompighiaccio mi ha depositato a destinazione in tre giorni».
Alle opere musicali create presso la corte di San Pietroburgo dai compositori ingaggiati dagli zar, tutti musicisti italiani che nel Settecento contribuirono a renderla una gloriosa capitale artistica, Cecilia, sempre a caccia di preziosi repertori per i propri dischi, dedicherà il suo prossimo cd.
Nata a Roma e da tempo residente in Svizzera, la cantante è in tour con una “Norma” che rivisita in un’ottica teatrale novecentesca e neo-realista il melodramma di Bellini. Rappresentata già in vari luoghi con successo, questa “Norma” sarà ripresa in agosto al Festival di Edimburgo: «Mi piace fare dell’eroina belliniana una combattiva partigiana, fosca e focosa come Anna Magnani. Per disgrazia s’innamora follemente dell’uomo sbagliato, cioè del nemico, che in questa produzione teatrale appare come la guida del drappello dei cattivi in camicia nera». Tra poche settimane il lungo itinerario musicale della viaggiatrice “lenta” Cecilia prevede una tappa importante a Salisburgo, dove ovviamente si recherà in treno («da Zurigo sono solo quattro ore!»), in occasione del Festival di Pentecoste, di cui è la direttrice artistica: «Il pezzo forte del programma sarà “West Side Story” dal 13 al 15 maggio, con Gustavo Dudamel sul podio dell’Orchestra Simon Bolivar formata da una settantina di musicisti giovani e pimpanti. Il musical sarà in cartellone anche nel festival estivo di Salisburgo, e i posti per tutte le recite, sia a Pentecoste sia in estate, sono esauriti da gennaio».
A lei spetta il ruolo di protagonista in questo spettacolo che definisce “il Romeo e Giulietta del ventesimo secolo”. L’appassiona raccogliere le volontà del compositore Leonard Bernstein: «Quando incise “West Side Story” diede le parti principali a due cantanti d’opera, Kiri Te Kanawa e José Carreras, e la nostra edizione salisburghese rispetterà il medesimo impegno vocale e orchestrale».
Il lavoro di direttrice artistica, in cui si è tuffata con esiti fortunatissimi a Salisburgo, l’ha convinta a lanciarsi in un’altra iniziativa: «Fondo un’orchestra che suona con gli strumenti originali dei periodi delle musiche eseguite. Si chiama “Les Musiciens du Prince” e sarà basata a Monte Carlo, il cui sontuoso e piccolo teatro è ideale per le opere barocche. Col sostegno del Principe di Monte Carlo, innamoratosi del progetto, riproponiamo l’antica tradizione dei musicisti di corte. L’orchestra debutterà in luglio con un concerto offerto al Principe nel suo palazzo, come in una fiaba».