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 2016  marzo 18 Venerdì calendario

Non siamo e non saremo mai uno Stato laico. Augias spiega perché

Caro Augias,
quando la Chiesa, attraverso le sue gerarchie, interviene sulle leggi non conformi alla sua dottrina, fa il suo ufficio. Dovrebbero essere i politici italiani, soprattutto quelli che svolgono cariche pubbliche, a riflettere su cosa significhi essere “laico in uno Stato laico”. Il discorso che il presidente John F. Kennedy pronunciò davanti alla Ministerial Association di Houston il 12 settembre 1960, resta una lezione esemplare: «Credo in un’America dove la separazione tra Stato e Chiesa sia assoluta, dove nessun prelato cattolico dica al Presidente (anche se cattolico) come agire, e nessun ministro protestante dica ai suoi parrocchiani come votare, dove nessuna Chiesa o scuola confessionale abbia finanziamenti pubblici o preferenze politiche. Io credo in un’America che non sia ufficialmente né cattolica, né protestante, né ebraica».
Basterebbe sostituire “America” con “Italia” e nel nostro Paese molte cose diventerebbero possibili. Ad esempio sostituire nelle scuole pubbliche l’insegnamento di religione cattolica con la Storia delle religioni. Abolire l’8x1000 e ogni privilegio economico concesso alle Chiese di ogni confessione. Soltanto così l’Italia diventerebbe uno Stato davvero laico.
Franco Vicentini
franco.eripac@gmail.com

Bisogna precisare. Quando Kennedy fece quel discorso si era a meno di due mesi dalle elezioni e lui, irlandese cattolico, doveva dissipare in un Paese a prevalenza protestante ogni sospetto di eccessiva vicinanza alla Chiesa. Con le sue parole si rifaceva peraltro a uno dei principi costitutivi degli Stati Uniti. Fu Thomas Jefferson (estensore della Dichiarazione d’Indipendenza del 1776) a stabilire quella linea quando venne eletto presidente nel 1800, così dando la prima interpretazione laica del Bill of Rights (Carta dei diritti): «Il Congresso non emanerà alcuna legge che riguardi l’istituzione di una religione o ne impedisca il libero esercizio», principio base sul quale venne eretto fin dall’origine il muro che separa la Chiesa dallo Stato. Diversa la storia del nostro Stato nato in un territorio largamente e per secoli appartenuto alla Chiesa, con una capitale contesa e alla fine strappata con la forza militare al dominio pontificio, con rapporti bilaterali (due concordati: 1929, 1984) dove la Santa Sede s’è assicurata i maggiori vantaggi, dove i presidenti del Consiglio, fino a pochi anni fa, s’inchinavano al bacio del sacro anello quand’erano in visita dal papa. In Italia non ci sarà mai un rapporto Stato-Chiesa di tipo europeo: la Francia con la sua legge sulla laicità (1905), l’Inghilterra con la sua altera chiesa anglicana (Church of England, 1534), la Germania con la sua forte componente luterana (1517) eccetera. Abbiamo dovuto aspettare il 1974 perché in Italia nascesse il civilissimo istituto del divorzio di cui siamo debitori a Marco Pannella perché il partito Comunista (che aveva appoggiato l’articolo 7 della Costituzione) da solo non avrebbe mai avuto l’ardire di proporlo. Tutto ciò che oggi possiamo chiedere ai nostri rappresentanti politici è il mantenimento di una certa dignità repubblicana, ammesso che di una certa dignità ognuno di loro disponga.