MilanoFinanza, 18 marzo 2016
Ogni giorno spariscono 800 mila barili di petrolio. Dove finiscono?
Nel cuore del già saturo mercato mondiale del petrolio c’è un mistero: la scomparsa di barili di greggio. Lo scorso anno, l’Agenzia internazionale dell’energia (Aie) non ha contabilizzato 800 mila barili di petrolio al giorno. Dove siano finiti tutti questi barili (o se mai siano esistiti) è un elemento chiave per un mercato del petrolio che rimane pressato dalla sovrabbondanza di greggio.
A sentire alcuni analisti i barili potrebbero essere in Cina. Altri credono che siano stati creati da lacune contabili e che in realtà non siano mai esistiti. Se non esistono, allora, l’eccesso di offerta che ha spinto i prezzi del greggio ai minimi di dieci anni potrebbe essere molto più ridotto di quanto stimato e le quotazioni potrebbero rimbalzare più rapidamente? Qualunque sia la risposta, lo scollamento sottolinea come il prezzo del petrolio, che ieri si è riportato oltre 40 dollari al barile (Wti) dopo la convocazione ad aprile di un vertice dei produttori a Doha al quale parteciperà anche l’Iran, si ribalti in base a dati di cui gli investitori spesso non sono convinti.
Lo scorso anno il conteggio dei dispersi è salito al livello massimo in 17 anni. Nel momento in cui il problema del surplus di offerta domina il settore, tutto questo ha importanza. «Se il mercato risulta più ridotto di quanto ipotizzato a causa dei barili mancanti, i prezzi potrebbero impennarsi più rapidamente», spiega David Pursell, managing director di Tudor Pickering Holt, una banca d’investimento focalizzata sul settore energetico.
Lo scorso anno l’Aie ha stimato che, in media, nel mondo sono stati prodotti circa 1,9 milioni di barili al giorno oltre la domanda: 770 mila barili sono andati in stoccaggio a terra mentre circa 300 mila sono transitati in mare o attraverso le condutture; gli altri 800 mila barili non sono stati contabilizzati.
Nel quarto trimestre, il numero di barili mancanti ha raggiunto quasi 1,1 milioni al giorno, ovvero il 43% dell’eccesso di offerta stimata. Altri importanti osservatori di mercato, come la Us Energy Information Administration e l’Opec, non disgregano i propri dati per mostrare il numero di barili mancanti.
Nel 1998, l’ultima volta che l’ammontare dei barili mancanti è stato così elevato, si era mosso anche il Congresso degli Stati Uniti e un senatore chiese al Government Accountability Office, un’agenzia super partes che lavora per il Congresso, di esaminare i dati dell’Aie. L’organismo riscontrò che «i limiti statistici possono introdurre degli errori, anche se l’entità e la direzione di questi errori restano da chiarire». Questo è quanto la maggior parte degli analisti pensa. «La spiegazione più probabile per la maggior parte di barili mancanti è semplicemente che non esistono», conclude Paul Horsnell, analista di settore presso Standard Chartered, secondo il quale il Wti raggiungerà quota 63 dollari proprio perché il surplus sia minore di quanto sembri. Secondo le 13 banche di investimento interpellate dal Wall Street Journal lo scorso mese entro la fine dell’anno si raggiungeranno i 45 dollari al barile. Sul tema, il portavoce dell’Aie ha rimandato al sito dell’agenzia, che riporta che il divario da bilanciare potrebbe essere spiegato dalla sovrastima dell’offerta, dalla sottostima della domanda o da variazioni di riserve in Paesi non Ocse. Per quanto l’Aie calcoli domanda e offerta di dati globali, i suoi numeri, sulla base dei quali viene accumulato l’eccesso di offerta, provengono solo dai membri dell’Ocse, il che significa che alcuni di quei barili potrebbero trovarsi in Paesi non-Ocse come la Cina. Alcuni analisti dissentono: i barili mancanti ridimensionano così tanto l’eccesso di offerta da implicare che nei Paesi non-Ocse le riserve si starebbero consolidando a un ritmo troppo elevato e inverosimile.
Gli esperti sottolineano che raccogliere dati sul petrolio è complesso. Quelli sulla domanda derivano da modelli piuttosto che da reali rilevazioni dei consumi e spesso vengono sostanzialmente rivisti, specifica Dnb Markets. Più di metà della domanda globale proviene ancora oggi da nazioni non-Ocse in cui la raccolta statistica non è così evoluta. «Abbiamo quindi il sospetto che la domanda nei Paesi non-Ocse in realtà sia significativamente maggiore di quanto riportato dall’Aie», riferiscono. Detto questo, alcuni investitori guardano ai trend dei dati sul petrolio piuttosto che ai numeri precisi da essi generati. L’oil data è «una scienza imperfetta», commenta Rob Haworth, senior investment strategist presso Us Bank Wealth Management, che gestisce 125 miliardi di dollari di asset. Tuttavia, Haworth precisa che nel caso questi barili siano spariti o meno, il surplus globale di greggio è tuttora ben lungi dall’essere esaurito. «Il mercato potrà anche essere più ristretto, ma i barili di cui siamo al corrente? beh, sono ancora molti», conclude.
(The Wall Street Journal)