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 2016  marzo 18 Venerdì calendario

Complimenti alla Vigilanza per il pasticcio su Banco Popolare e Bpm

È grave che finora la Vigilanza unica non abbia percepito come il suo modus operandi nella vicenda del progetto di aggregazione tra il Banco Popolare e la Bpm possa avere conseguenze decisamente negative che non si arrestano alla vicenda stessa, ma potrebbero estendersi alle soluzioni prefigurate per le concentrazioni anche in altri casi. La lettera della Bce recapitata ieri ai due istituti contiene nuove indicazioni e richieste ritenute imprescindibili per procedere con il processo di fusione, che in tal modo finisce quasi su un binario morto. Il segnale, che arriva prima dell’assemblea di bilancio del Banco popolare di sabato prossimo, è disorientante: ieri si visto il grave impatto di borsa sui titoli, in specie su Verona.
Eppure esisterebbe la possibilità di soluzione alternative, come tante volte abbiamo scritto, a cominciare da un piano serio, credibile, verificabile a stati di avanzamento, per la sistemazione dei prestiti deteriorati. Il disorientamento è rilevante perché si tratta di istituti che hanno superato le diverse prove promosse, da sola o con l’Eba, dalla Vigilanza, potendosene trarre, se queste sono le successive prescrizioni dell’organo di controllo, la conseguenza dell’irrilevanza dei loro risultati.
Intanto Andrea Bonomi, già presidente del comitato di gestione della Bpm, manifesta l’intendimento di riacquistare una partecipazione nella Popolare. Bonomi – bisogna riconoscerlo – ben prima della riforma delle Popolari aveva visto l’esigenza di una rivisitazione della Bpm che la trasformasse in spa, ma con un assetto che fu definito ibrido, perché avrebbe mantenuto, a latere della società, una fondazione che avrebbe espresso anche alcuni membri negli organi della banca. Fu una dimostrazione di grave miopia da parte dei dipendenti-soci non accogliere, magari apportando al pur giuridicamente fine progetto qualche variante, quella proposta che poi sarebbe diventata, se accolta, molto difficilmente modificabile dalla stessa sopravvenuta legge di riforma, essendosi compiuto il passaggio alla spa, sia pure con alcuni temperamenti che rispondevano anche agli interessi del personale. La revisione dell’ordinamento con la predetta legge ha finito con il rendere impraticabile una riedizione della spa ibrida. In ogni caso, un nuovo scenario si potrebbe ora profilare per la Bpm, mentre è ancora sub iudice la fusione.
Non è escluso che, a questo punto, possano intrecciarsi disegni di aggregazione con proposte, in specie per la Bpm, stand alone, mentre ancora non hanno avuto fine i viaggi della speranza a Francoforte per riscontri che denotano come non sussista nel controllore una eccelsa padronanza della materia, soprattutto con riferimento alla realtà concreta. Una struttura di Vigilanza che abbia le attribuzioni e le responsabilità di quella europea non si crea dall’oggi al domani mettendo insieme personale di diversificate esperienze al quale, senza una lunga tradizione alle spalle nella medesima istituzione, verosimilmente si prospetta come comoda la strada di imporre quante più misure di sicurezza possibili con le dotazioni aggiuntive di capitale o con altri insostenibili vincoli per una burocratica tranquillità, molto poco conoscendo storia, tradizioni, territorio di riferimento, quotidiana operatività delle banche assoggettate ai controlli.
L’errore compiuto è stato quello di voler bruciare i tempi nell’istituzione della Vigilanza europea, che avrebbe dovuto essere il primo passo al quale avrebbero poi fatto seguito, nel quadro del progetto di Unione bancaria, l’istituzione del fondo di risoluzione delle banche adeguatamente finanziato, oltre ovviamente alla normativa sulla stessa risoluzione, e l’assicurazione dei depositi. Un seguito che, purtroppo, o non si è visto (con riferimento all’assicurazione) oppure è stato nettamente parziale. Ciò che si è reso compiutamente comune sulla carta riguarda, dunque, solo la Vigilanza. Si è ripetuto l’errore, in cui si cadde anche nell’adesione alla moneta unica, nel ritenere che, realizzato un obiettivo collettivizzato, tutto il resto sarebbe venuto di conseguenza. Non a caso, proprio per la necessaria gradualità di un processo di mutualizzazione della Vigilanza, il Trattato Ue prevede, all’art. 127 punto 6 (ma forse bisognerebbe dire prevedeva) che alla Bce possono essere trasferiti, con una particolare procedura, «compiti specifici in merito alle politiche che riguardano la vigilanza prudenziale degli enti creditizi». Ma questa previsione è stata aggirata ricorrendo a un accordo intergovernativo, in tal modo sviluppando una prassi che vede il ricorso a quest’ultimo strumento quando si vogliono superare i limiti imposti dal Trattato: una prassi sulla quale bisognerebbe attentamente riflettere, innanzitutto per la coerenza con quella che occorre ritenere una fonte superiore, qual è il Trattato, e poi per i risultati che essa produce (si pensi, in un altro campo, al Fiscal compact). La Vigilanza come oggi viene esercitata manifesta non poche inadeguatezze e, poiché comincia a estendersi il convincimento di queste ultime, bisognerà intervenire, da parte dei soggetti istituzionali competenti, per i necessari rimedi. Così non si può continuare.