la Repubblica, 18 marzo 2016
La scienza si scrive online
C’è chi dibatte da decenni se la scienza debba essere pubblica o a pagamento. E chi, senza farsi troppi scrupoli, riversa 47 milioni di articoli protetti da copyright su un sito pirata gratuito. L’autrice di questa Wikileaks della scienza è la ricercatrice kazaka Alexandra Elbakyan (ora nascosta in Russia, sembra). «La distribuzione delle ricerche scientifiche è ristretta artificialmente dalle leggi del copyright», spiega dal suo sito. «Queste leggi rallentano lo sviluppo della scienza nella società umana». Nonostante le denunce delle riviste e le ingiunzioni dei giudici, il sito sci- hub. io resta online – e continua a crescere – perché non si sa bene quale paese dovrebbe fermarlo. Ma non si può nemmeno dire che l’impero delle riviste scientifiche – 30mila titoli, 2,5 milioni di articoli, 10 miliardi di budget ogni anno – goda di vasto sostegno, né dentro né fuori la scienza. Nella maggior parte dei casi le testate si fanno infatti pagare sia dai ricercatori (intorno ai mille euro) che chiedono di pubblicare i loro studi sia dai lettori. I prezzi variano da poche decine di dollari per un articolo a varie migliaia per un abbonamento.
Ecco perché – oltre ad alcune testate ad accesso gratuito – sempre più successo raccolgono i siti che permettono di pubblicare tutto e subito, senza pagare e senza passare per il filtro lungo e non sempre trasparente della “peer review”, o “revisione fra pari” tipico delle riviste. Il precursore di queste biblioteche online – chiamate “pre-print” – è arXiv, inventato dalla comunità dei fisici. Dal 1991 a oggi il sito ha pubblicato più di un milione di studi, scritti da scienziati famosi o da perfetti sconosciuti. Il suo successo ha contagiato i biologi, che nel 2013 hanno fondato bioRxiv. Oggi, racconta il New York Times, sul portale delle scienze della vita ha pubblicato una sua scoperta anche la biologa premiata con il Nobel Carol Greider. È il terzo vincitore a farlo, dimostrando che la scienza resta ottima anche quando è diffusa gratis e via web.
Pochi giorni fa, sempre su bioRxiv, anche Vincenza Colonna ha pubblicato il suo studio sul Dna delle popolazioni che vivono lungo la via della seta. La genetista del Cnr di Napoli, che ha lavorato insieme ai colleghi dell’Istituto Burlo Garofolo e dell’Università di Trieste, conosce bene l’odissea delle riviste scientifiche: «Lo studio che noi inviamo agli editor per la pubblicazione viene sottoposto al giudizio di alcuni esperti del settore, in genere tre». Sono i “peer reviewer” chiamati a giudicare la qualità del lavoro dei colleghi. «Noi non sappiamo chi sono, riceviamo i loro giudizi in forma anonima», spiega Colonna. «Se va bene passano 3 o 4 settimane. Ma a volte si arriva a un anno. È un problema, se c’è un gruppo con cui siamo in competizione. Può addirittura capitare che un lavoro finisca nelle mani dei nostri rivali, chiamati a scriverne la peer review». Di ragioni per sbrigarsi, accelerando le pubblicazioni dei gruppi concorrenti, i revisori non hanno troppa voglia. Anche perché il loro lavoro è gratuito. «Immaginiamo il caso di un dottorando che debba aspettare la pubblicazione dell’esperimento per discutere la tesi. Rischia di buttare via un anno», continua la genetista.
Se i giudizi dei tre revisori sono negativi la pubblicazione viene rifiutata. Se solo uno o due hanno sollevato obiezioni, l’articolo può essere emendato e riproposto (facendo trascorrere altri mesi). «Tutto questo viene saltato a piè pari dai siti pre-print», sostiene Colonna. «Il ruolo delle riviste è prezioso. Ma lo è altrettanto la possibilità di leggere immediatamente i commenti dei colleghi su bioRxiv».