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 2016  marzo 18 Venerdì calendario

Due anni a Verdini, la prima condanna al «collezionista di processi»

La Scuola Marescialli dei Carabinieri è un enorme falansterio alla periferia di Firenze. La prima condanna del senatore Denis Verdini, ex Forza Italia, ex Pdl, ora Ala (Alleanza liberalpopolare– Autonomie), già braccio destro di Berlusconi e ora sostenitore di Renzi, si deve all’inchiesta su questo monumento alla peggiore architettura. E la sentenza del tribunale di Roma scatena dure polemiche politiche. Verdini, 65 anni, è stato condannato a due anni per corruzione, con sospensione della pena, per aver aiutato l’amico costruttore Riccardo Fusi della Btp, «a lui legato da interessi economici», a riconquistare l’appalto che il ministero delle Infrastrutture gli aveva tolto, riassegnandolo ad Astaldi. Nel 2008 Fusi aveva attivato un arbitrato, che poi gli riconoscerà un sostanzioso risarcimento, ma – convinto di aver subìto una ingiustizia – voleva riprendersi i lavori. A tal fine, legandosi all’imprenditore Francesco De Vito Piscicelli, cercò di infilarsi nel girone infernale della cricca delle Grandi Opere, su cui regnavano l’allora presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici Angelo Balducci e il suo braccio destro Fabio De Santis. Percependo profumo di laute tangenti, i due dirigenti ministeriali si prodigarono in favore di Fusi, che – grazie ai buoni uffici di Verdini – ottenne che il ministro Altero Matteoli nominasse De Santis provveditore alle Opere pubbliche della Toscana. Nel 2010, quando la procura di Firenze e il Ros Carabinieri ottennero l’arresto per corruzione di Piscicelli, Balducci e De Santis, l’operazione stava andando in porto: i lavori della Scuola erano stati sospesi e Astaldi rischiava di essere estromesso. Balducci, De Santis, Piscicelli e Fusi sono già stati condannati per corruzione a Roma, dove il processo è stato trasferito per competenza. La posizione di Verdini era stata stralciata perché il Parlamento (prima la Camera, poi il Senato) ha impiegato quasi tre anni per autorizzare l’uso delle intercettazioni.
Gli avvocati Franco Coppi e Marco Rocchi, «fortemente delusi» per la condanna, sostengono che Verdini non era assolutamente consapevole che dietro la nomina di De Santis si celasse un disegno criminoso. Di parere opposto il pm Ilaria Calò e il tribunale. Verdini, peraltro, non rischia niente perché il reato si prescrive entro l’estate.
Infuria però la polemica politica. Grillo chiede a Renzi: «Come si dice in inglese “Ve ne arrestano uno al giorno”?». Attacca Luigi Di Maio: «Verdini condannato per corruzione. Si arricchisce il curriculum di uno dei padri costituenti. Chiedere a Renzi per altre referenze». E sul Pd arriva anche il “fuoco amico” della minoranza. «Senza abdicare a principi garantisti – dice il senatore Federico Fornaro la sentenza contro il leader di Ala Verdini dimostra che in questi mesi non abbiamo strumentalmente evocato fantasmi, ma invece giustamente evidenziato i rischi connessi a questo asse preferenziale». Sugli stessi toni Miguel Gotor. A loro ribatte il capogruppo alla Camera Ettore Rosato: «Noi non governiamo con Verdini. C’è una legge da rispettare, la Severino, che è chiarissima. Chi rientra nei parametri si può candidare e chi no è fuori». Sulla stessa lunghezza d’onda il responsabile giustizia Pd David Ermini: «Nessun favoritismo, nessuno sconto. Se Verdini sarà condannato in via definitiva pagherà come tutti, come è giusto. Noi siamo dalla parte della Costituzione, della legge, della giustizia. Al momento ci sono solo due leader condannati con sentenza passata in giudicato: Silvio Berlusconi e Beppe Grillo».
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«Collezionista di processi», lo ha definito qualcuno. In pochi anni Denis Verdini si è trovato assediato dalle inchieste. Dopo la condanna di ieri, altri processi lo attendono. E probabilmente lui, come è suo costume, si presenterà per difendersi.
Nel 2002 fu processato a Firenze per violenza sessuale. Lo accusava una cliente della banca di cui era presidente, il Credito Cooperativo Fiorentino di Campi Bisenzio. L’onorevole
azzurro fu sempre presente in aula, non fece perdere tempo al tribunale, si difese nel merito e fu assolto. Dopo otto anni, nel 2010, è tornato sotto accusa per reati completamente diversi, legati – secondo le accuse – al sistema di potere che aveva fatto crescere intorno a sé: associazione a delinquere, bancarotta fraudolenta, truffa ai danni dello Stato, fatture per operazioni inesistenti, finanziamento illecito, corruzione.
Per più di tre anni le accuse contro di lui sono rimaste congelate in attesa della autorizzazione all’uso delle intercettazioni. Il 9 aprile 2014 il Senato ha dato il via libera e da quel momento Verdini ha accumulato cinque rinvii a giudizio. Uno è quello per corruzione nella vicenda della Scuola Marescialli, che ieri gli è costato la prima condanna. A Firenze il senatore è andato a giudizio il 15 luglio 2014 con altre 44 persone. Le accuse: associazione a delinquere, bancarotta per il crac del Credito Cooperativo Fiorentino, truffa per aver percepito illecitamente 12 milioni di contributi per l’editoria, fatture per operazioni inesistenti (tangenti mascherate, secondo le accuse). Il dibattimento è in corso. Verdini sarà interrogato il 12 aprile. Il senatore ha sempre difeso la sua gestione della banca di Campi «che tanto ha favorito lo sviluppo del territorio», attribuendone il commissariamento e il fallimento al «chiasso mediatico pesantissimo, falso ma pesantissimo» seguito all’inchiesta sulla Scuola Marescialli.
Due mesi dopo il primo rinvio a giudizio a Firenze, ne è arrivato un altro a Roma. Il 22 settembre 2014 Denis Verdini è stato mandato a processo per finanziamento illecito con il senatore all’epoca di Forza Italia Riccardo Conti. Il 31 gennaio 2011 Conti aveva comprato per 26,5 milioni una palazzina in via della Stamperia a Roma e l’aveva rivenduta poche ore dopo all’ente di previdenza degli psicologi per 44,5 milioni. Pochi giorni più tardi aveva versato un milione alla moglie di Verdini, Maria Simonetta Fossombroni, in forza di un contratto di finanziamento stipulato mesi prima con Verdini e contenente una clausola stupefacente. Il finanziamento promesso era di 10 milioni ma si stabiliva che, se non fosse erogato, Conti avrebbe dovuto corrispondere a Verdini una penale di un milione. E così è avvenuto.
L’inchiesta sulla P3, presunta associazione segreta «volta a condizionare il funzionamento di organi costituzionali e di rilevanza costituzionale», si è chiusa il 3 novembre 2014 con numerosi rinvii a giudizio. Verdini è accusato con l’amico ed ex senatore Marcello Dell’Utri di corruzione, illecito finanziamento e abuso d’ufficio per i rapporti con alcuni imprenditori interessati ad investimenti nell’eolico in Sardegna. Il processo è in corso.
Qualche mese di tregua e il 23 luglio 2015 è arrivato un nuovo rinvio a giudizio per bancarotta fraudolenta. Una impresa edile aveva un debito di 4 milioni con il Credito cooperativo fiorentino e, secondo le accuse, Verdini architettò un sistema per farsi restituire il debito con un giro di false fatture, in danno degli altri creditori.