Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  marzo 18 Venerdì calendario

«Lasciate che i vostri figli scelgano l’università da soli». L’appello di Giovanni Azzone, rettore del Politecnico di Milano

Ad aprire il dibattito è stato un intervento del rettore del Politecnico di Milano, Giovanni Azzone: «Genitori, non venite agli open day. Lasciate che i vostri figli scelgano l’università da soli». Come dire: se poi vengono su bamboccioni, un motivo ci sarà. Una presa di posizione che ha scatenato molte reazioni sia tra i genitori che tra gli accademici. Il rischio, secondo chi condivide l’invito del rettore, è di ottenere esattamente l’effetto opposto a quello voluto dai grandi eventi di orientamento alla scelta della facoltà, ovvero “iper proteggere” i ragazzi, impedendogli di imparare a cavarsela da soli e di acquisire quelle abilità che poi sono fondamentali per affrontare il mondo del lavoro.
«È vero, quello dei genitori agli open day è un fenomeno in crescita – dice Gianmaria Ajani, rettore dell’università di Torino – paradossalmente adesso che facciamo più orientamento, vediamo più mamme e papà che intervengono, mentre in passato, quando non si facevano gli open day, se ne vedevano pochi. Concordo con Azzone: lascino i ragazzi liberi di scegliere. Se proprio si vogliono informare, guardino i siti degli atenei che spiegano tutto. Ma senza intervenire». Non mancano però le obiezioni. La prima è di carattere economico: i genitori pagano le rette dei ragazzi e quindi è un loro diritto sapere dove andranno a studiare i figli, anche per capire se l’investimento sarà oculato. «Questo fenomeno è anche conseguenza della crisi del sistema – sostiene Massimo Augello, rettore dell’università di Pisa – e delle diverse prospettive dello studio. In passato si avevano più certezze e le opportunità c’erano, oggi ce ne sono molte meno». L’altra obiezione è che non si possono privare i genitori del diritto di dare un consiglio. E i suggerimenti, specie in tempi di incertezze, possono essere decisivi: «Per i diplomati oggi è molto difficile scegliere – dice Paolo Comanducci, rettore dell’università di Genova – molto spesso sbagliano e poi lasciano gli studi. Abbiamo tassi di abbandono o di cambio di percorso troppo elevati: da questo punto di vista, più opinioni i ragazzi ascoltano meglio è. Credo che i genitori siano un interlocutore privilegiato». Eppure la possibilità di fare danni è dietro l’angolo: «Ci sono genitori che vorrebbero che i figli facessero quello che loro non hanno fatto – aggiunge Luigi Dei, rettore di Firenze – credo che sia il dispetto peggiore che si possa fare. Molti poi danno consigli sbagliati in buona fede, perché si basano sulle loro esperienze senza valutare che i tempi e il mondo del lavoro sono cambiati».
C’è poi chi auspica una sana via di mezzo, come il rettore della Sapienza di Roma Eugenio Gaudio: «Non è giusto che un giovane diventi strumento di desideri paterni e materni, ma non è pensabile che la famiglia sia esclusa del tutto. lo Stato e gli atenei dovrebbero essere complementari al ruolo della famiglia: se mancano le istituzioni, i ragazzi non hanno altri riferimenti». Alla Bicocca di Milano, il problema si sta già affrontando da qualche anno. «È da considerare un fenomeno sociale emergente – dice Elisabetta Camussi, docente di Psicologia sociale e presidente della Rete dei servizi di orientamento dell’ateneo – questi genitori non sono migliori o peggiori del passato, ma vivono in prima persona le fragilità dell’epoca contemporanea. Non è strano che siano più preoccupati di un tempo. Per questo noi abbiamo pensato degli open day dedicati esclusivamente a loro: appuntamenti in cui spieghiamo perché è sbagliato intervenire al posto dei figli».