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 2016  marzo 18 Venerdì calendario

In morte di Frank Sinatra Jr.

Renato Franco per il Corriere della Sera
È morto Frank Sinatra Jr., figlio di padre leggendario che non ha bisogno di presentazioni, basta The Voice. Attore e musicista lui stesso, sulle orme del padre ma senza riuscire a raggiungerne la grandezza, Sinatra Jr. è morto all’ospedale di Daytona Beach, in Florida, dove era stato ricoverato dopo una crisi cardiaca. Aveva 72 anni.
Sinatra Jr. era nato a Jersey City il 10 gennaio 1944 ed era il secondogenito di Frank e Nancy Barbato, prima moglie di The Voice – che si sposò solo quattro volte al netto degli innumerevoli flirt di cui parlavano i giornali di gossip (da Lauren Bacall a Grace Kelly, respinto da Virna Lisi, ma forse non da Raffaella Carrà). Si era dedicato alla carriera musicale fin da subito, tanto che a 19 anni già faceva i primi tour e viveva praticamente on the road (nel 1968 aveva suonato in 47 degli Stati Uniti). Molti dischi, qualche film, alcune apparizioni televisive: così per altri 20 anni, fino a quando decise di metter fine alla sua carriera per lavorare con il padre. Dal 1988 lo accompagnò come direttore d’orchestra nei concerti che The Voice teneva in ogni parte del mondo e nel 1994 duettò con lui nella canzone «My Kind of Town», per l’album «Duets II».
Nel 1963, durante uno dei suoi primi tour, Frank Jr. era stato sequestrato: una prigionia lampo di soli due giorni che si concluse con il pagamento di un riscatto (240mila dollari) da parte del padre e l’immediato arresto dei tre rapitori.
Frank Jr. è rimasto uomo da palcoscenico fino all’ultimo e mercoledì sera – poco prima di morire – si sarebbe dovuto esibire al Peabody Auditorium a Daytona Beach nell’ambito del suo tour «Sinatra Sings Sinatra».
Sulla condanna di essere «figlio di», Frank Jr. coglieva i due lati della medaglia: «Il nome famoso mi ha aperto alcune porte, ma avere un padre celebre significa che devi lavorare tre volte più duramente di un ragazzo qualunque».

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Marco Molendini per Il Messaggero
All’ombra di papà non è facile vivere, specie se è un’ombra che non lascia spiragli, come quella di The Voice, la pop star più idolatrata del Novecento. E specie se, come è capitato a Frank Sinatra jr, la scelta è quella di consegnarsi al mito paterno anima e corpo. Frankie è vissuto cercando di assomigliare il più possibile all’immagine del padre: parlava come lui, si vestiva come lui, amava la stessa musica, provava a cantare come lui, pronunciando i versi nella medesima maniera. L’unica differenza è che non era Frank Sinatra ma solo il figlio. E, soprattutto, non aveva la stessa qualità di voce, pur essendo tutt’altro che poco dotato. E anche ora che se ne è andato, a soli 72 anni, colpito da un infarto a Daytona Beach prima di andare in scena e cantare ancora una volta le canzoni di papà (il suo never ending tour si chiamava Sinatra sings Sinatra), la memoria non può che associarlo a quel genitore così soverchiante. Abbiamo un ricordo personale di Frankie. A metà degli anni 80, lo incontrammo varie volte perché doveva fare da ponte (tanto per cambiare) per andare a trovare l’inavvicinabile The Voice. A quel tempo Il Messaggero era diventato lo sponsor del concerto che Sinatra doveva fare al Palatrussardi assieme a Liza Minnelli e Sammy Davis e il giornale ci teneva a preparare l’avvenimento con il dovuto fragore. Non fu facile arrivare a papà, perché Frankie, quando si trattava di lui, procedeva con mille cautele, aveva timore a pronunciarne il nome e, comunque, se doveva proprio nominarlo, la sua voce si abbassava.
IL RAPPORTO
Eppure, a quel tempo era assai vicino al padre, cominciava a collaborare con lui, stringendo finalmente un rapporto praticamente inesistente fino a quel momento: di lì a poco sarebbe diventato il suo direttore d’orchestra (e con che scrupolo lo avrebbe fatto), il suo ultimo e più stretto collaboratore fino a ottenere, nel 1994, il più bel regalo, cantare con lui uno dei suoi classici, My Kind of Town, nell’album Duets II, lo stesso in cui Frank senior duettava anche con Bono in I’ve got you under my skin. Chissà, forse The Voice nel suo immenso narcisismo si rendeva conto di quanto fosse stata difficile la vita per il figlio. E non era solo per il fatto di aver abbandonato la famiglia, fulminato d’amore per Ava Gardner (a quel tempo Frankie era un bambino). E non era solo perché la cocca di papà era Nancy. Di mezzo c’era anche quel rapido, misterioso rapimento di cui il ragazzo fu vittima nel dicembre 1963 al Lake Tahoe in California, quando Frankie stava cantando all’Harrah’s Casino con l’orchestra di Tommy Dorsey, la stessa band in formato revival (Dorsey era morto già da qualche anno) che aveva lanciato il padre nei primi anni 40. Il rapimento fu fulmineo, solo due giorni. Papà, per chiudere la vicenda aveva chiesto aiuto a Robert Kennedy. Pagò 240 mila dollari. Ma le storie attorno a quel sequestro furono tante. Si disse che di mezzo c’era la mafia (arrabbiata con The Voice per avergli raccomandato John Kennedy che, per riconoscenza, stava facendo vedere i sorci verdi alla onorata società), si disse pure che era stato organizzato dallo stesso Frank jr e che il papà lo avesse costruito ad arte. La verità, sembra accertato, era che si trattava di un maldestro tentativo di far soldi da parte di un giovanotto di 23 anni, Barry Keanan (un compagno di liceo di Nancy Sinatra), che poi si fece subito beccare con le mani nel sacco assieme ai due complici (e i soldi furono recuperati).