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 2016  marzo 18 Venerdì calendario

Trivelle sì, trivelle no: ecco le due posizioni

SI’. «Se noi No Triv perdiamo la corsa al greggio riparte»
Questo referendum non è un po’ estremista? In fondo non si tratta di una questione come «nucleare sì o no», e neanche «trivelle sì o no»: si tratta solo di permettere alle piattaforme già attive entro le 12 miglia di andare avanti fino alla scadenza delle concessioni.Risponde Enzo Di Salvatore, docente di diritto costituzionale all’università di Teramo e co-fondatore del Coordinamento No Triv: «No, è in gioco anche altro. Fra i “titoli abilitativi” di cui si parla rientrano i permessi di ricerca».
Ma la ricerca non è già bloccati entro le 12 miglia, a prescindere dal referendum?
«È bloccata adesso, ma se vincesse il “no” al referendum le ricerche già completate, come quella di Ombrina Mare a soli 6 chilometri (non miglia) dalla costa, non verrebbero azzerate, e se le regole cambiassero ancora in futuro (è già successo più volte) chi ha fatto le ricerche potrebbe tornare alla carica, non partendo da zero ma presentando i “titoli abilitativi” che ha già in mano».
Altri problemi?
«Le regole attuali permettono a chi ha una concessione di aprire nuove piattaforme petrolifere accanto a quelle che ha già. Quindi non è vero che il numero delle trivelle al momento è congelato».
Avete sollevato anche una questione che riguarda l’Ue.
«La Commissione si è già espressa negativamente sulle concessioni senza scadenza riguardo agli stabilimenti balneari. Le piattaforme offshore sono un’altra cosa, però il principio giuridico è lo stesso: è in gioco la libera concorrenza. Le imprese mostrino rispetto almeno per quella». 
A FAVORE DEL NO. «Questo è l’unico Paese che rinuncia all’oro nero»Le piattaforme petrolifere non sono un pericolo in mari chiusi come quelli italiani?
Risponde Alberto Clò, economista, ex ministro dell’Industria, ex consigliere d’amministrazione dell’Eni e attuale coordinatore scientifico dell’istituto Rie: «Una mia lettera aperta è stata sottoscritta da 150 accademici, fra cui decine e decine di geologi e di biologi, oltre che di economisti e di manager di compagnie non legate al petrolio (sarebbe stato troppo facile). Tutti dicono che non ci sono rischi significativi». 
Non è un’affermazione troppo drastica? Disastri in mare sono pur successi all’estero.
«Non faccio il solito discorso delle ragioni del lavoro e dell’economia contro quelle della salute e dell’ambiente: non stiamo parlando di un’Italsider a Taranto. Basta andare a Milano Marittima o a Cervia per verificare che non c’è danno né al turismo né all’agricoltura».
Lei vorrebbe vedere più piattaforme petrolifere attive nei mari attorno all’Italia?
«Non c’è Paese al mondo che abbia il petrolio e non lo sfrutti. Solo noi stiamo facendo così. Le trivellazioni di nuovi pozzi in Italia sono scese a zero. Quello che mi amareggia è che sulla base di giudizi faziosi o falsi stiamo smantellando un altro settore industriale italiano. Le aziende che producono beni strumentali o servizi all’estrazione chiudono o si trasferiscono all’estero». 
Le energie verdi non sono da preferire?
«Il petrolio estratto in Italia non è alternativo alle energie verdi ma alle importazioni. Saremo contenti di dipendere di più dalla Libia o dall’Iraq».