il Fatto Quotidiano, 17 marzo 2016
Il tesoro perduto della Corte dei Conti. Due terzi delle sanzioni non pagate
C’è un tesoro di centinaia di milioni di euro su cui lo Stato italiano non riesce a rimettere le mani. Nel quinquennio 2011-2015 la Corte dei Conti ha pronunciato sentenze di condanna definitiva per 646 milioni. Di questo denaro, nelle casse dello Stato è entrato poco più del 33%: 213 milioni, praticamente un euro su tre. Le cifre sono state rese note dalla stessa Corte dei Conti, nel documento che ha inaugurato l’anno giudiziario 2016.
La responsabilità dei mancati incassi non è imputabile ai magistrati contabili, che dopo la fine del processo possono fare ben poco: l’esecuzione delle sentenze di condanna pronunciate dalla Corte dei Conti infatti spetta alle stesse amministrazioni che hanno subìto il danno erariale. Dopo la sentenza, insomma, gli enti pubblici danneggiati dovrebbero recuperare le somme dai propri stessi amministratori: non sempre possono (o vogliono) farlo con la necessaria solerzia.
In sostanza, quindi, funzionari e politici “infedeli”, colpevoli di reati contabili contro lo Stato, se la cavano (in media) restituendo un terzo del dovuto. Tra i condannati celebri, per così dire, ci sono parlamentari, sottosegretari, ex presidenti di Provincia e di Regione.
Lo scorso anno, ad esempio, la Corte dei Conti ha sanzionato 22 amministratori e consiglieri della Basilicata per l’uso indebito dei fondi regionali (tra di loro anche l’attuale governatore Marcello Pittella e il sottosegretario Vito De Filippo, entrambi del Pd): un danno da 196 mila euro. Nel lungo elenco di chi ha subìto una condanna contabile ci sono, tra gli altri, il senatore verdiniano Lucio Barani, l’ex presidente del Veneto Giancarlo Galan, Antonio Bassolino, il sindaco di Bologna Virgino Merola, gli ex presidenti di Regione Riccardo Illy e Renato Soru. Matteo Renzi invece, dopo una condanna in primo grado da 14 mila euro per delle assunzioni da presidente della Provincia di Firenze, è stato assolto in appello. Nelle relazioni annuali dei procuratori generali della Corte dei Conti, la questione del recupero dei crediti è citata costantemente come uno dei problemi più urgenti dello stesso processo contabile: il tasso di esecuzione, cioè la quota dei danni erariali risarciti dai condannati, oscilla generalmente tra il 15 e il 20%. Il dato del quinquennio 2011-2016, sebbene ancora molto negativo, indica quindi un trend in crescita, anche se la cifra è influenzata dalla maxi condanna contro le società concessionarie di slot machine che non avevano collegato i propri apparecchi di gioco al sistema di controllo dei Monopoli di Stato (il risarcimento complessivo fissato in appello è di 407 milioni di euro).
Non si può dire che la politica sia all’oscuro del problema: le norme che renderebbero più semplice recuperare questa montagna di denaro sono contenute nella riforma Madia della Pubblica amministrazione.
La legge è stata approvata lo scorso agosto, ma a distanza di 7 mesi mancano ancora i decreti attuativi che dovrebbero provvedere al “riordino della procedura dei giudizi inanzi la Corte dei Conti”, come si legge all’articolo 20.
Il testo della Madia fissa i criteri entro cui si specifica la delega al governo: i crediti nei confronti dei condannati per danno erariale diventano “crediti privilegiati”. Inoltre al procuratore della Corte dei Conti viene attribuita la facoltà di citare in giudizio l’amministratore pubblico insolvente. Il decreto attuativo dovrebbero disciplinare il “rito abbreviato” nel processo contabile: gli imputati che lo chiederanno in primo grado non potranno subire condanne superiori al 50% del danno contestato, mentre se la richiesta arrivasse in appello il tetto salirebbe al 70%.
Tra i testi degli 11 decreti attuativi della legge Madia, presentati a gennaio, non c’è la minima traccia delle norme che riguardano la riscossione dei crediti della Corte dei Conti. A inizio settimana i deputati del gruppo Alternativa Libera (Massimo Artini, Marco Baldassarre, Eleonora Bechis, Samuele Segoni e Tancredi Turco) hanno presentato un’interrogazione parlamentare a risposta scritta al ministero della Pubblica amministrazione: “È inammissibile – si legge nel documento depositato dal gruppo politico – che lo Stato italiano, pur vantando crediti per miliardi nei confronti di soggetti condannati per danno erariale, non si sia ancora dotato di uno strumento per recuperare questa valanga di denaro. Perché non è ancora stato trasmesso il testo del decreto che contiene la riforma del processo contabile?”. Fino ad oggi, nessuna risposta.