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 2016  marzo 17 Giovedì calendario

Maledette mutande. Parla il vigile ripreso in slip mentre timbrava il cartellino e licenziato per assenteismo

«La mia unica colpa? Quelle foto in mutande. Maledette mutande».
Alberto Muraglia, il vigile di Sanremo licenziato per assenteismo, non arretra di un passo. Nonostante la mole di accuse nei suoi confronti. Anzi, se la prende con la malasorte e pure con il Festival.
«A 54 anni mi sono ritrovato senza una casa, senza un lavoro, preso in giro in mondovisione dall’Ariston, senza il minimo rispetto».
L’indagato-simbolo del caso dei furbetti del cartellino di Sanremo – che proprio ieri ha visto concludersi l’attività della Commissione disciplinare del Comune con 32 licenziamenti, 98 sospensioni, 40 tra sanzioni e rimproveri e 28 archiviazioni – continua a dichiararsi innocente, aspetta con fiducia le decisioni dei giudici e nel frattempo cerca «di trovare altri modi per lavorare, che ho tre figli e con le mani in mano non ci so stare».
Muraglia, gli assenteisti in mutande impazzano. Prima Modica, pochi giorni fa Varazze.
«Sono condannato, ormai. Ogni volta che si parla di assenteismo si tirano in ballo le mie immagini. E fa male».
Il suo caso è finito in uno sketch sul palco dell’Ariston.
«Non mi ha fatto ridere, e non è stato bello. Posso capire l’effetto mediatico delle mutande, ma far sghignazzare la gente rendendo ridicolo in quel modo un padre di famiglia che si ritrova licenziato dopo trent’anni di onorato servizio, credetemi, non è stata una bella cosa. Le persone possono sbagliare, ma meritano comunque rispetto».
Onorato servizio lo dice lei, i magistrati la pensano diversamente.
«Penso di avere pagato a sufficienza. Trovarsi senza stipendio, processato su tutte le televisioni, invece che nei tribunali, mi pare già tanto e ho pure perso la casa».
Era l’alloggio del Comune?
«Sì. Io, al momento della timbratura in slip, ero a casa mia, l’appartamento del custode: la timbratrice era nello stesso stabile. Tra la porta d’ingresso e l’apparecchio ci sono sette metri di corridoio. E quelle telecamere hanno invaso casa mia».
In che senso?
«Ero l’unico che poteva aprire dall’interno. Timbravo in mutande per fare prima, e andare subito a occuparmi della rimozione delle auto, di certo non per tornare a dormire, il mio turno partiva alle sei. Ero solo, non rischiavo neanche di creare un danno di immagine all’amministrazione».
Insomma, non si pente?
«Macché, ho sempre fatto il mio lavoro e non ho mai chiesto soldi di straordinario. Sono diventato un simbolo solo per quelle maledette mutande».