Libero, 16 marzo 2016
La storia dei papà, dell’uomo neutro e del «Maschio selvatico» spiegata da Risé
Claudio Risé è uno dei più stimati psicoterapeuti italiani (tradotto nei vari continenti), e non ha timore di esprimere posizioni forti. Lo ha fatto in bestseller come Il maschio selvatico, dedicato alla figura – ormai in via di sparizione – del maschio. E lo fa di nuovo nel suo ultimo libro, Sazi da morire (edizioni San Paolo), in cui sferza la nostra civiltà faustiana, «ricca ma non felice», dedita al
«culto del troppo».
Una civiltà dei consumi ammalata di troppo benessere e bisognosa di rallentare, se non vuole costruirsi un futuro nero. Ci avviciniamo alla festa del papà. Come sta la figura del padre, di questi tempi?
«Nei guai, ma sempre più consapevole della necessità di un cambiamento e di un rinnovamento, recuperando le cose buone della tradizione paterna. Sa che ci sono nuove sfide ed è pronto a raccoglierle. A livello diffuso, mediatico e di sistema politico, c’è invece una crescente ignoranza della situazione che vivono le famiglie, della solitudine dell’infanzia e giovinezza. Mentre i padri faticosamente riscoprono la loro funzione la società la svilisce e cerca di convincerli a non esercitarla. Questa forbice rispecchia il provincialismo del nostro sistema mediatico-politico: lo stesso Obama ha riconosciuto: “l’America ha bisogno dei padri”».
A proposito di festa del papà, alcuni asili hanno deciso di cancellarla per «non offendere» i genitori omosessuali...
«È una stupidaggine. È un caricarsi da parte delle istituzioni dei sentimenti altrui. Un po’ come con i presepi tolti per non offendere l’islam, con le famiglie islamiche che assicuravano di tenere al Natale spiegando che Gesù e di Maria sono molto importanti nel Corano. È un fenomeno di ignoranza e presunzione, da cui le istituzioni sono affette, invece di aiutare i padri a svolgere la loro funzione».
Oggi, mentre le coppie eterosessuali fanno sempre meno figli, quelle omosessuali sembrano volerli disperatamente.
«Siamo di fronte a una situazione complessa. Se guardiamo alla Francia, dove le associazioni omosessuali sono più presenti nel dibattito pubblico e più strutturate e forti rispetto alle associazioni Lgbt che ci sono qui, vediamo che queste associazioni si sono schierate in difesa della famiglia naturale. È una posizione che mi sembra importante e che è anche molto diffusa ma ignorata dai media. Da noi si dà spazio alle burocrazie politiche in cerca di voti più che alla rappresentanza dei cittadini».
Ci sono coppie omosessuali che ricorrono all’utero in affitto per avere figli. È stato il caso, per esempio, di Nichi Vendola. Lei che pensa di questa pratica?
«Io sono a favore della riproduzione naturale, come ho sempre scritto nei miei libri. Mi risulta che i bambini abbiano bisogno di una madre e di un padre. La vita comincia nella pancia della madre e le comunicazioni intrauterine sono fondamentali nella formazione della personalità. Ma dove finisce questa relazione se ci sono due madri o tre (quella che fornisce l’ovulo, quella che fornisce l’utero eccetera)? Sappiamo, perché c’è un’ampia letteratura scientifica a dimostrarlo, che le comunicazioni madre-figlio nella fase prenatale e perinatale sono fondamentali. Il resto sono discorsi e azioni di propaganda».
Nel suo nuovo libro lei sferra un attacco deciso alla società dei consumi. Non le sembra che pratiche come l’utero in affitto siano l’ennesima mercificazione?
«Oggi si vuole acquistare tutto: i sentimenti, i figli, gli uomini, le donne. La cronaca nera è piena di questo genere di cose. Non ultima quella relativa alla terrificante vicenda dell’omicidio di Roma. Si tratta di deliri di onnipotenza e di desideri senza misura che conducono alla riduzione dell’altro a oggetto, creando situazioni di profonda infelicità. Anche nelle vicende di cronaca lo vediamo: dopo l’euforia che porta la riduzione dell’altro a oggetto, c’è la disperazione. È necessario invece cercare di amare e rispettare l’altro, anche nel suo mistero».
Svilendo la figura del padre abbiamo abbattuto anche l’autorità. Non tolleriamo divieti e impedimenti. E, come scrive lei in Sazi da morire, oggi abbiamo perso il senso della fatica.
«La questione della fatica non è collegata soltanto all’autorità, ma anche e soprattutto all’amore. Il contadino che portava il figlio nei campi per insegnargli a lavorare, o l’artigiano che lo portava nella bottega, lo faceva per amore. Chiedeva al figlio una serie di cose, e imponeva una disciplina, perché lo amava. Se i bambini non ricevono l’insegnamento del limite, non sviluppano né intelligenza del mondo né capacità di vivere. Dalla Bibbia in poi, nella nostra tradizione (ma anche nelle altre), è il padre che propone l’esperienza del limite. Che ha certo un aspetto di autorità. Ma la proposta di limite è anche proposta di amore, significa prendere l’altro sul serio. Fare i padri permissivi è la cosa più facile del mondo. Dai i soldi, ed è fatta. È tipico della modernità occidentale: se non fai così passi per un sadico, per un padre-padrone. Ma così non si dà una formazione».
Lei in Il maschio selvatico parla della creazione di un Uomo neutro. Oggi sembra che si cerchino di eliminare tutte le differenze.
«Perché l’Uomo neutro è il consumatore perfetto. Non ha identità. Ed è attaccato alla bombola d’ossigeno dei consumi per tentare di darsela. È ricattato e ricattabile dalla comunicazione di massa. Ecco perché le istituzioni politiche vogliono cancellare l’identità. Non solo quella sessuale, ma anche quella nazionale, culturale, linguistica».
Viviamo nell’era del benessere, apparentemente, ma questo ci fa ammalare. Siamo colpiti da malattie “non trasmissibili”. Depressioni, ansie, patologie psichiatriche...
«Malattie non trasmissibili e pure non comunicabili. Perché in fondo l’individuo della modernità consumista non è in comunicazione con gli altri. Fa tutto da sé con la pratica dell’eccesso: di grassi, di droghe, di alcool. Organizza il suo isolamento ben nutrito. Di porcherie».
Eppure nella nostra società ipermedicalizzata trionfa il fitness...
«Ma non è il movimento un po’ nevrotico con mille attrezzature quello di cui abbiamo bisogno. Ci serve il movimento libero di essere nel mondo, nel bosco, con i piedi piantati a terra. Dobbiamo riscoprire questa libertà, che è anche libertà dei sensi. Per esempio attraverso il cibo naturale, biologico e biodinamico. Che non è solo roba per ricchi: lo vogliono anche i contadini, perché sanno che senza certi prodotti industriali il loro vino e i loro frutti sono migliori».
I vari show televisivi dedicati al cibo ci aiuteranno a riscoprire il cibo di qualità?
«Però nel senso del consumo, dell’immagine. Creano star, con chef-attori, capi di aziende e di ristoranti costosissimi. Non è questo che ci salverà: dobbiamo accettare un downgrading. Dobbiamo riscoprire la meraviglia della naturalità, della semplicità. Che è anche un’esperienza spirituale, religiosa, perché ci conduce dalla pesantezza alla grazia. Altrimenti, il percorso è obbligato e va verso l’infelicità».