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 2016  marzo 16 Mercoledì calendario

Ogni anno tagliamo due milioni di alberi

Se l’oro nero è sul viale del tramonto, acquisisce valore l’oro verde, le biomasse, ovvero la vecchia legna da ardere o il suo succedaneo più moderno, vale a dire il pellet. Così i boschi, fino agli anni ’50 principali fornitori di combustibile da riscaldamento, tornano a essere enormi giacimenti di energia e potenziali fonti di profitto. Così, le prime a fare le spese di tagli selvaggi sono le alberature di pianura lungo fiumi e torrenti come dimostrano la desertificazione di 12 chilometri di sponde del torrente Savena in provincia di Bologna con l’abbattimento di 50mila piante e l’ancor più radicale tosatura del fiume Magra e dei suoi affluenti per 60 chilometri nel comune di La Spezia. Solo l’anno scorso il Corpo forestale dello Stato ha rilevato 814 reati penali per disboscamenti a cui si aggiungono 4300 illeciti amministrativi per complessivi 2,5 milioni di multe comminate. Il Wwf, con una stima molto prudente, ha valutato che ogni anno vengono tagliati oltre due milioni di alberi lungo i corsi d’acqua, ma molto probabilmente occorrerebbe raddoppiare questa cifra per arrivare alla vera consistenza del disboscamento. Un impoverimento che modifica il paesaggio di pianure e valli già desertificate dall’agricoltura intensiva e ulteriormente private degli unici ecosistemi sopravvissuti. A Siena trenta docenti universitari hanno promosso una raccolta di firme con oltre mille adesioni per chiedere alla Regione Toscana di indagare sull’operato del Consorzio di bonifica “Toscana sud” responsabile di numerosi tagli a raso. Le sponde dei fiumi sono le vittime perfette per molte ragioni. La prima è la facilità di accesso. Lungo i corsi d’acqua corre quasi sempre una strada che permette di caricare agevolmente il legname. Il terreno non è scosceso e i sindaci dormono sonni tranquilli al riparo da contestazioni perché esiste la convinzione erronea che un fiume “pelato” sia più sicuro dal rischio di straripamenti. In realtà è il contrario visto l’aumento dell’erosione e della velocità dell’acqua. Così i Comuni possono bandire appalti “a compensazione”, vale a dire a costo zero o addirittura con un rimborso perché tutto è pagato col legname che le ditte ricavano dal disboscamento. Se ne deduce che più tagliano più fanno utili. Di questa corsa al legname, alimentato dal miraggio del profitto, sono per ora rimasti parzialmente al riparo i boschi appenninici che, dagli anni in cui la vecchia stufa è andata in pensione, sono cresciuti dai 5 milioni di ettari del 1950, agli 11 del 2014. Aumento non dovuto a una gestione da parte dell’uomo, bensì a un’espansione spontanea. Ma se per il momento i nostri boschi sono salvi si deve anche al fatto che l’Italia è il più grande importatore europeo di legna. Nel 2014 ne abbiamo acquistato all’estero 87mila tonnellate per un valore di 73,6 milioni. Insomma, dipendiamo dai paesi stranieri anche per le biomasse il cui consumo è cresciuto tra il 16% e il 22% negli ultimi dieci anni anche in virtù della sua economicità. Il dato è più rilevante di quel che sembri perché il rinnovamento tecnologico delle stufe ha generato enormi aumenti di rendimento nel giro di un decennio.
«Tra la fine dei combustibili fossili e l’avvento delle energie rinnovabili, avremo bisogno dell’apporto delle biomasse», spiega Leonardo Setti, docente di Energie rinnovabili all’Università di Bologna. «Questo crea un’opportunità economica senza però che questo Paese si sia dato una regola sui prelievi di legname. Tutto ciò può creare enormi problemi per il patrimonio forestale». Il rischio principale è l’effetto “isola di Pasqua”, la desertificazione e lo sconvolgimento degli ecosistemi. «Il taglio a raso favorisce la scomparsa delle specie autoctone e l’arrivo di infestanti come l’alianto e la robinia», denuncia il botanico del Wwf Fausto Bonafede. «Normalmente non è permesso – aggiunge Marino Berton direttore di Aiel, l’associazione italiana delle energie agroforestali – ma questo è solo uno degli aspetti di come in Italia non esista una politica forestale invece ben presente in molti paesi europei».